Il lutto dopo un suicidio: le sue caratteristiche e come affrontarlo

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Il suicidio è un grosso problema di salute pubblica. Secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità, 2012) quasi un milione di persone nel mondo muore per suicidio ogni anno. Il suicidio rientra fra le prime 10 cause di morte e si posiziona fra le prime 3 in adolescenti e giovani adulti. Il suicidio impatta profondamente sulla psiche di chi era vicino al defunto. Coloro che sono rimasti a piangerne la morte sono chiamati “sopravvissuti al suicidio” (Andriessen e Krysinska, 2011; Jordan e McIntosh, 2011a).

Il lutto e il dolore dopo un suicidio sono diversi e unici dalle reazioni che si hanno ad altri tipi di perdite (Jordan, 2001): essi sono focalizzati sul senso di colpa e sulla vergogna, sullo stigma sociale e sull’isolamento. Inoltre vi è una ricerca disperata del significato di quella morte.

Secondo Jordan e McIntosh (2011b) dopo il suicidio di una persona cara possiamo trovare 4 tipologie di reazione:

  • Reazioni presenti dopo qualsiasi tipo di morte, come la tristezza e il desiderio di essere riuniti con la persona defunta;
  • Reazioni caratteristiche del lutto dopo una morte inaspettata (ad esempio per un incidente, un infarto, ecc.), ad esempio lo shock e una sensazione di irrealtà riguardo la morte;
  • Reazioni tipiche del lutto dopo una morte violenta, come il trauma (ad esempio per aver trovato il corpo e la realizzazione della propria vulnerabilità);
  • Reazioni caratteristiche del lutto dopo un suicidio, come la rabbia verso il defunto per aver scelto la morte e un senso di abbandono.

Esistono due siti (utilizzati prevalentemente da americani) dedicati alla commemorazione di persone morte per suicidio: Faces of Suicide e Gone too Soon. Questi siti svolgono una doppia funzione: mantenere un legame con la persona defunta e rinforzare i legami con i vivi (Roberts, 2004).  Quest’ultimo aspetto è molto importante, in quanto i sopravvissuti al suicidio possono trovare difficile parlare con altri della loro esperienza, a causa dello stigma sociale che ancora avvolge l’argomento del suicidio (Cerel e colleghi 2008; Grad, 2011). A causa di questo stigma e del trauma subito, il lutto dopo un suicidio è qualitativamente differente da ogni altro tipo di lutto. Sveen e Walby (2008) hanno trovato che i sopravvissuti al suicidio presentano sentimenti più intensi di rifiuto, colpa e vergogna. Inoltre sentono il peso dello stigma sociale e quindi il bisogno di nascondere la causa della morte.

Colpa

Uno dei bisogni principali dei sopravvissuti al suicidio è quello di dare un senso alla morte e capire perché il loro caro abbia preso quella decisione. A volte un messaggio lasciato ai familiari può spiegare le cause del gesto, ma spesso rimangono comunque molte domande ancora aperte: i cari si chiedono, ad esempio, cosa avrebbero potuto fare di più, o come hanno fatto a non accorgersi prima della sofferenza della persona.

Queste domande portano spesso a sovrastimare la propria responsabilità, aumentando così il senso di colpa per non essere stati in grado di fare di più. È molto facile cadere nella trappola della domanda “come ho fatto a non notarlo?”. Dopo che l’evento è accaduto vi è la tendenza a ripensare al passato e a notare dettagli ai quali non si era data particolare importanza, ma che adesso sembrano chiari segnali del proposito del defunto.

Rifiuto, abbandono e rabbia

Come sappiamo, i sopravvissuti al suicidio possono sentirsi rifiutati e abbandonati, perché il loro caro ha preferito la morte e li ha lasciati da soli, a chiedersi perché la loro relazione con quella persona non fosse abbastanza per far scegliere loro la vita (Cerel e colleghi, 2008). Questa domanda porta alla rabbia, che è un sentimento molto comune fra i sopravvissuti; può essere rivolta verso il defunto per averli lasciati, verso sé stessi per non aver fatto di più, verso altri familiari, verso Dio, verso i professionisti che avevano in cura il defunto o verso il mondo in generale.

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Lo stigma

Uno dei problemi più grandi legati al suicidio è lo stigma sociale che avvolge questo gesto. Questo stigma rende difficile ai sopravvissuti parlare della loro sofferenza con altre persone, perché hanno paura della reazione e dell’opinione che gli altri potrebbero avere nei loro confronti e in quelli del defunto. Tale difficoltà nel parlarne porta a sentirsi isolati (Sudak e colleghi, 2008). Anche il conforto della religione è spesso negato a chi ha perso un proprio caro per suicidio; infatti, molte religioni vedono questo gesto in maniera molto negativa, come un peccato, e impongono restrizioni ai rituali che si possono effettuare alle persone che si sono tolte la vita.

Il trauma

Alcune ricerche hanno mostrato che i sopravvissuti al suicidio hanno più probabilità di sviluppare un Disturbo da Stress Post-traumatico (Zisook e colleghi, 1998), poiché la maggior parte dei metodi utilizzati per togliersi la vita include notevoli danni corporei e a volte i cari sono i primi a trovare il corpo, o sono addirittura testimoni dell’atto. I sopravvissuti combattono per togliersi dalla mente le immagini del corpo (Callahan, 2000), che provocano paura, orrore e una sensazione di vulnerabilità.

I sopravvissuti al suicidio hanno un rischio maggiore di sviluppare ideazioni e comportamenti suicidari a loro volta (Krysinska, 2003; Runeson e Åsberg, 2003). Questo perché il dolore associato alla vergogna, al rifiuto, alla rabbia e al senso di colpa può essere troppo da sopportare. Alcuni potrebbero anche sentirsi più vicini al loro caro togliendosi la vita nello stesso modo.

Come superare il lutto dopo un suicidio?

Non vi è un consenso unanime sul trattamento migliore per le persone che stanno soffrendo a causa di un lutto dovuto al suicidio di una persona cara. Tuttavia, la maggior parte degli esperti concorda su alcuni punti:

  • Inizialmente è necessario concentrare l’attenzione sul trauma;
  • I gruppi di auto-aiuto possono fornire dei benefici;
  • Sia la farmacoterapia che la psicoterapia sono utili per chi mostra già effetti avversi sulla propria salute mentale (Cvinar, 2005; Sakinofsky, 2007).

I gruppi di supporto

Per molti sopravvissuti, i gruppi di supporto sono un “porto sicuro”, l’unico posto in cui sentono di essere compresi e accettati. Confrontarsi con persone che hanno subito la stessa tragica esperienza li fa sentire meno soli; inoltre, vedere che superare un evento del genere è possibile, uscendone addirittura più forti, allevia la disperazione. I membri del gruppo possono fornire suggerimenti utili per far fronte alle incombenze burocratiche e legali, per parlarne ai bambini o per gestire le ricorrenze come il Natale o i compleanni senza la persona cara.

Le caratteristiche principali dei gruppi di supporto di successo sono:

  • Dare informazioni accurate;
  • Avere il permesso di piangere la morte;
  • Normalizzare ciò che la persona prova e fa, e che potrebbe essere in netto contrasto con ciò che provava e faceva prima;
  • Passare il messaggio che la persona non è sola nel suo dolore (Young e colleghi, 2012).

 

Nicole Truzzi

 

BIBLIOGRAFIA

Andriessen, K., & Krysinska, K. (2011). Essential questions on suicide bereavement and postvention. International Journal of Environmental Research and Public Health, 9(1), 24–32.

Callahan, J. (2000). Predictors and correlates of bereavement in suicide support group participants. Suicide and LifeThreatening Behavior30(2), 104-124.

Cerel, J., Jordan, J. R., & Duberstein, P. R. (2008). The impact of suicide on the family. Crisis: The Journal of Crisis Intervention and Suicide Prevention29(1), 38-44.

Cvinar, J. G. (2005). Do suicide survivors suffer social stigma: a review of the literature. Perspectives in psychiatric care41(1), 14-21.

Grad, O. (2011). The sequelae of suicide. In R. C. O’Connor, S. Platt & J. Gordon (Eds), International handbook of suicide prevention: Research, policy and practice (pp. 561–577). Chichester: Wiley Blackwell.

Jordan, J. R. & McIntosh, J. L. (2011a). Suicide bereavement: Why study survivors of suicide less? In J. R. Jordan & J. L. McIntosh (Eds), Grief after suicide: Understanding the consequences and caring for the survivors (pp. 3–17). New York, NY: Routledge.

Jordan, J. R. (2001). Is suicide bereavement different? A reassessment of the literature. Suicide and life-threatening behavior31(1), 91-102.

Jordan, J. R., & McIntosh, J. L. (2011b). Is suicide bereavement different? A framework for rethinking the question. In J. R. Jordan & J. L. McIntosh (Eds), Grief after suicide: Understanding the consequences and caring for the survivors (pp. 19–42). New York, NY: Routledge.

Krysinska, K. E. (2003). Loss by suicide: A risk factor for suicidal behavior. Journal of psychosocial nursing and mental health services41(7), 34-41.

Krysinska, K., & Andriessen, K. (2015). Online memorialization and grief after suicide: An analysis of suicide memorials on the Internet. OMEGA-Journal of death and dying71(1), 19-47.

Roberts, P. (2004). The living and the dead: Community in the virtual cemetery. Omega: Journal of Death and Dying, 49(1), 57–76.

Runeson, B., & Åsberg, M. (2003). Family history of suicide among suicide victims. American Journal of Psychiatry160(8), 1525-1526.

Sakinofsky, I. (2007). The aftermath of suicide: Managing survivors’ bereavement. Canadian journal of psychiatry52(6), 129S.

Sudak, H., Maxim, K., & Carpenter, M. (2008). Suicide and stigma: a review of the literature and personal reflections. Academic Psychiatry32(2), 136-142.

Sveen, C. A., & Walby, F. A. (2008). Suicide survivors’ mental health and grief reactions: A systematic review of controlled studies. Suicide and Life-Threatening Behavior38(1), 13-29.

Young, I. T., Iglewicz, A., Glorioso, D., Lanouette, N., Seay, K., Ilapakurti, M., & Zisook, S. (2012). Suicide bereavement and complicated grief. Dialogues in clinical neuroscience14(2), 177.

Zisook, S., Chentsova-Dutton, Y., & Shuchter, S. R. (1998). PTSD following bereavement. Annals of clinical psychiatry10(4), 157-163.

 

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