Amore alessitimico: relazioni violente e comunicazione affettiva

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Amore Tossico

Negli ultimi anni l’attenzione sia nel dibattito pubblico che in quello accademico si è sempre più spesso volta a tematiche relazionali e sulla qualità dei rapporti coniugali, sentimentali ed in generale interpersonali. Sempre più comunemente si parla infatti di relazioni tossiche o disfunzionali, oltre che delle relazioni violente. D’altro canto, con il diffondersi della narrativa sociale sulla violenza sulle donne, si è anche sdoganato (anche se solo parzialmente) il tema delle relazioni abusive e/o violente. Rimane tuttavia raro incontrare una visione del tema non legata appunto alla prospettiva della violenza di genere o la violenza domestica. Nonostante si riconosca l’importanza di questi temi, all’interno di questo articolo si è scelto di osservare da una prospettiva psicologica il fenomeno delle relazioni violente, provando a coglierne i segnali, le dinamiche interpersonali e comunicative tipiche. Attraverso il fil rouge della comunicazione (emotiva), considerata il cardine della questione, andremo ad approfondire anche una visione più clinica delle relazioni violente, esplorando il ruolo dell’alessitimia e di come questa impatti nella comunicazione delle coppie violente.

Cos’è una relazione violenta?

Perché le relazioni sono un tema complesso?

Le relazioni sono di base dei fenomeni molto complessi e, specialmente quelle affettive e sentimentali, si basano su un sistema complesso di interazioni tra le persone coinvolte su tutta una serie di piani differenti. Ogni relazione è infatti data dal rapporto che due persone hanno sul piano emotivo, comunicativo e fisico. Inoltre, all’interno di ogni rapporto interpersonale si attivano dinamiche di “potere” (mediazione e controllo del rapporto) oltre che una condizione di influenza reciproca su aspetti della vita dell’altro, nella sfera quotidiana e non. Appare chiaro dunque che quando si vuole vedere il funzionamento di una relazione, e quanto questa sia “sana” o meno, non si possa non utilizzare una prospettiva ampia e trasversale.

Tuttavia tre fattori chiave in tutto questo marasma possono essere:

  1. le modalità di interazione tra i partner;
  2. la capacità di adattamento della coppia;
  3. il coinvolgimento affettivo delle due parti.

Sulla base di questi tre fattori, possiamo provare a comprendere la qualità di una relazione affettiva e dunque capire quando tende ad essere poco funzionale. Queste dimensioni dei rapporti inoltre ci portano a quello che la letteratura sta indicando come IL fattore delle relazioni interpersonali, ovvero la comunicazione.

Distinguere tra una relazione sana, disfunzionale e violenta

Visto quanto appena detto, possiamo definire una relazione “sana” quando questa permette uno stato di benessere e soddisfazione ad entrambe le persone coinvolte. Le interazioni tra le due parti hanno come parole d’ordine equilibrio, flessibilità e mediazione. Il rapporto si basa su collaborazione, sicurezza e cura reciproca. La coppia si vede come una squadra ed i partner sono pronti a mettersi in discussione e moderarsi sia per ovviare a problemi della coppia che esterni.

comunicazione violenta

Diversamente, una relazione disfunzionale non permette quanto appena detto. La relazione è distinta da una rigidità e conflittualità di fondo che non permette uno sviluppo sano né del rapporto né dei due partner. Le modalità di interazione sono dunque ripetitive e poco flessibili, con scarse capacità di adattamento. Ci può essere anche un’asimmetria tra le due parti, per cui si seguono dei ruoli rigidi ma complementari. Come può esserci una situazione “a senso unico” in cui uno dei due compagni non si adatta e non investe quanto l’altro. Queste forme di rapporto impediscono uno scambio affettivo vero e naturale e generano dunque disagio, sofferenza e conflitti. Per questo si dice che una relazione disfunzionale, a differenza di una sana, genera uno stato di disagio o sofferenza o, banalmente, insoddisfazione. Per di più, le problematicità del rapporto si sposano molto facilmente con difficoltà psicologiche (affettive/relazionali) dei singoli partner. In questi casi le interazioni disfunzionali sono un risultato, se non un tentativo di adattamento, alle problematiche personali; generando un circolo vizioso in cui i due partner usano la relazione per evitare i propri problemi. Motivo per cui spesso notiamo come quelle dei rapporti disfunzionali siano dinamiche stereotipate e ripetitive. Fattore fondamentale per cui spesso le persone non escono dal rapporto stesso, ed anzi, le vediamo ricercarlo ripetutamente.

Come se già questo non fosse dannoso, a volte però le relazioni disfunzionali non si limitano a generare disagio, sofferenza e conflitto; bensì le loro ripercussioni diventano dannose o peggio una minaccia per salute fisica e mentale di chi ne è parte. In questi casi parliamo di relazioni violente o abusive. Attacchi aggressivi, conflitti violenti, abusi fisici e/o psicologici diventano i tratti tipici di questi rapporti. Emergono fortemente dinamiche di controllo e potere sregolate, con forme di manipolazione e pressione psicologiche importanti. Non sorprende quindi che le persone con alle spalle relazioni di questo tipo portino segni di traumi, gravi difficoltà emotive e relazionali, oltre anche abusi e violenze fisiche. Riprendendo l’utilizzo dei tre fattori, nelle relazioni violente abbiamo modalità interattive sì rigide, ma anche asimmetriche e dotate di una quota di violenza, reciproca o a senso unico. Il partner violento non riesce ovviamente a mediare ed adattarsi all’altro. Il coinvolgimento affettivo risulta quindi alterato, in quanto è spesso instabile e soprattutto asimmetrico. Non c’è uno stato di ascolto e comprensione emotiva, bensì una prevaricazione franca, la quale è difatti il più grande tratto distintivo delle relazioni abusive.

La comunicazione nelle relazioni violente: ecco cosa le rende tali

Le persone nelle relazioni abusive non riescono ad esprimere in maniera costruttiva i propri sentimenti e bisogni, anzi li vivono con coercizione o imposizione da parte di una od entrambe le parti. Ed in questi casi, come per ogni tipo di rapporto disfunzionale, il processo cardine di tutti questi scambi e comportamenti distruttivi è quello della comunicazione e come questa venga utilizzata per modulare ed esprimere i propri bisogni, emozioni e sentimenti all’altro. Ma nella pratica come cambiano le interazioni in una relazione violenta?

Sono stati svolti numerosi studi su questo tema ed effettivamente si è riscontrata una differenza tra coppie eterosessuali violente e non violente. Come già anticipato, infatti, le relazioni violente tendono ad avere dei pattern comunicativi cronici molto specifici. In particolare abbiamo due meccanismi interattivi ricorrenti quali la reciprocità negativa ed il ritiro. La negative reciprocity è la tendenza dei partner a ripetere i comportamenti negativi altrui (Noller, Roberts; 2002). Secondo vari studi, la reciprocità negativa è uno dei fattori chiave delle relazioni disfunzionali e pare sia la combinazione proprio di questo fattore con altri a far scaturire il passaggio dalla conflittualità alla violenza. La ripetizione reciproca dei comportamenti negativi infatti porta inevitabilmente all’alimentazione costante dei conflitti. Questo fattore è però anche presente nelle relazioni disfunzionali non violente.

Un altro grande schema tipico della comunicazione in coppie violente è però anche il ritiro (withdrawal). Forme di ritiro (reciproco o proprio) e di evitamento vengono infatti utilizzate sia per distanziarsi dall’altro che per evitare il conflitto. Così facendo però si crea un distacco, che appunto impedisce un’espressione affettiva reciproca ed un vero scambio. Per di più la non espressione delle emozioni e l’evitamento del confronto non fa che peggiorare i conflitti successivi, nei quali si saranno accumulati tutti i sentimenti repressi, e porterà ad una maggiore ostilità e violenza (Noller, Roberts; 2002). Ci sono due pattern di ritiro tipiche delle interazioni aggressive: ritiro reciproco e domanda-ritiro (demand-withdrawal). Nel primo pattern entrambi i partner si allontanano, creando un circolo vizioso di chiusura emotiva; nel secondo invece c’è una richiesta emotiva da parte di un partner a cui l’altro partner risponde con il ritiro. La combinazione di questi tre pattern di comunicazione disfunzionale non solo rende il rapporto in questione particolarmente disfunzionale, ma predispone allo scoppio di liti e conflitti sempre più aggressivi.

litigio

In altre parole, i punti deboli delle relazioni violente o anche solo predisposte alla violenza, sono la gestione dei conflitti e lo scambio emotivo; entrambe attività profondamente connesse con la comunicazione emotiva. E proprio la comunicazione emotiva è il cardine della clinica e della psicopatologia legata alle relazioni violente.

Prospettiva Clinico-relazionale della violenza

Intimate Partner Violence: il nuovo volto delle relazioni violente

Se vogliamo entrare nella prospettiva più clinica del fenomeno delle relazioni violente, non possiamo non utilizzare il concetto di Intimate Partner Violence. Per Intimate partner Violence (IPV) si intende l’insieme di fenomeni di violenza e abuso sia fisico che psicologico da parte di un partner sentimentale. Questo costrutto è stato riconosciuto sia dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che dalla American Psychological Association (APA) ed è spesso utilizzato come costrutto all’interno della ricerca psicologica clinica. Quindi, nonostante non stiamo (ancora) parlando di una categoria diagnostica, è utile per identificare l’insieme di azioni e/o esperienze che entrano in gioco quando si parla di relazioni violente. Le relazioni con IPV presentano tutti i meccanismi delle relazioni violente sopracitati, tuttavia si differenziano per via della loro rappresentazione più netta in termini di ruoli di vittima e partner abusante.

La IPV include uno o più di questi comportamenti:

  • Violenza fisica: procurare o tentare di procurare danni fisici al partner, colpendo, calciando o usando un altro tipo di forza fisica;
  • Violenza sessuale: forzare o tentare di costringere il partner a prendere parte a un atto sessuale, a un contatto sessuale o a un evento sessuale non fisico (ad esempio, sexting) quando il partner non acconsente o non può acconsentire;
  • Stalking: schema di attenzione e contatto ripetuti e indesiderati da parte di un partner che causa paura o preoccupazione per la propria sicurezza o la sicurezza di qualcuno vicino alla vittima;
  • Violenza Psicologica: l’uso della comunicazione verbale e non verbale con l’intento di danneggiare un’altra persona mentalmente o emotivamente e/o di esercitare il controllo su un’altra persona.

Questo tipo di esperienze è chiaramente dannoso per le vittime, con tante ripercussioni sia sul piano economico e sociale che sul piano del benessere psicofisico. Le vittime di IPV, infatti, presentano spesso quadri di malessere psicologico notevole, con la copresenza di disturbi dell’umore e della sfera emotiva.

Disfunzione affettiva e comunicativa nell’IPV

All’interno della prospettiva presa in questo articolo, la violenza nelle relazioni sentimentali non è che un’escalation di un sistema disfunzionale in cui l’aggressività è data sia dal crollo della qualità dell’interazione di coppia, che dalle capacità di interazione e regolazione emotiva dei singoli partner. Una comunicazione incapace di esprimere costruttivamente gli affetti e di gestire progressivamente i conflitti genera circoli viziosi di distacco, rifiuto e conflitto che finiscono per degenerare nell’aggressione continua. Dunque, uno sguardo clinico-relazionale delle relazioni violente non può non considerare la sfera affettivo-relazionale e dunque l’impatto dell’intelligenza emotiva dei partner sul rapporto.

La qualità della comunicazione all’interno di una coppia determina la sua qualità generale, questo è più che certo. Ed abbiamo visto come effettivamente ci sia un collegamento tra uso di strategie comunicative specifiche e il rischio di violenza nella coppia. Questo link è per di più confermato anche in senso inverso. Alcuni studi hanno infatti mostrato come lo sviluppo di migliori competenze comunicative dei partner abusanti riduca le risposte disfunzionali sia proprie che dell’altro partner e faccia percepire il primo come meno aggressivo. Possiamo dunque ipotizzare che specifiche strategie comunicative finalizzate allo scambio costruttivo disinneschino il meccanismo della reciprocità negativa, centrale nei pattern disfunzionali e violenti. D’altro canto, il livello di gestione emotiva della coppia risulta un fattore, come già detto. Statisticamente eventi stressogeni e fattori che in generale aumentano lo stress sono fattori di rischio anche per lo sviluppo di relazioni disfunzionali e per IPV. Per di più molti fattori di rischio dell’IPV sono appunto fattori comuni legati allo stress ed al benessere psicosociale. Ma qual è il link tra relazioni violente, disfunzione comunicativa e disfunzione affettiva? Una risposta può esserci data nuovamente dagli studi sui pattern comunicativi in coppie violente e non. In uno studio sulle correlazioni temporali dei pattern comunicativi, per esempio, si è visto che l’uso dei pattern di reciprocità negativa e ritiro sono temporalmente collegate con l’aumento del distress e dell’ostilità. In altre parole, le risposte emotive asincrone e disfunzionali del partner generano forme di malessere emotivo e distress che aumentano l’ostilità ed alimentano ulteriormente i meccanismi disfunzionali. La disfunzione emotiva ed affettiva è quindi radice e catalizzatore delle comunicazioni inefficaci, che a loro volta costruiscono pattern di coppia disfunzionale e aumentano il rischio di abuso e violenza. Ma quali sono le cause e le conseguenze cliniche di questa disfunzione emotiva?

Alessitimia e disturbi dell’umore nell’Intimate Partner Violence

La sfera affettiva è di certo un’area intersezionale sia dentro che fuori la psicologia clinica. Motivo per cui, quando si parla di disfunzione affettiva ci si riferisce a tutta una serie di potenziali categorie di disturbo ed in generale difficoltà di vario tipo. Tuttavia, un costrutto trasversale a questo discorso è quello dell’alessitimia.

L’alessitimia è un costrutto piuttosto recente che tradizionalmente si riferisce alla difficoltà o incapacità di leggere le emozioni; tuttavia attualmente viene scomposto in 4 deficit/difficoltà affettive, ovvero:

  1. difficoltà a identificare i sentimenti (DIF) e distinguere tra i sentimenti e le sensazioni corporee dell’eccitazione emotiva;
  2. difficoltà a descrivere i sentimenti (DDF) ad altre persone;
  3. processi immaginali ristretti (IP), come evidenziato da una scarsità di fantasia;
  4. uno stile cognitivo orientato all’esterno (EOT) e legato allo stimolo.

In altre parole, l’alessitimia è un deficit nella comprensione e verbalizzazione degli stati emotivi, inoltre vi è difficoltà nell’introspezione e nell’espressione consapevole di bisogni e opinioni propri. E questa problematica è di fatto presente in numerosissimi quadri di difficoltà emotiva, poiché è sia un effetto di eventi stressanti e traumatici, che predittivo dello sviluppo sia di vari disturbi affettivi, quali disturbi depressivi e d’ansia, che di comportamenti disfunzionali in generale, compresi i comportamenti tipici dell’Intimate Partner Violence. Tuttavia, nella ricerca clinica possiamo distinguere nettamente tra lo studio dell’alessitimia (e di altri disturbi affettivi) tra le vittime e lo studio dell’alessitimia tra i partner abusanti.

alessitimia

Numerosi sono i riscontri riguardo i disturbi affettivi tra le vittime di Intimate Partner Violence. Si è visto infatti che donne vittime di IPV presentino livelli più alti di alessitimia, depressione, ansia e disturbo da stress post-traumatico. Sono infatti note le correlazioni tra esposizione a traumi e quadri alessitimici e depressivi (Craparo et al., 2014). In particolare, l’abuso sessuale e psicologico da parte dei partner è stato associato alla presenza di PTSD, depressione e diagnosi di disturbo d’ansia generalizzato (C.E. Cavanaugh et al., 2012; Close et al, 2000; Coker, et al, 2000). Sono anche diffusi sintomi tipici di stress cronico. Volendo fare maggiore distinzione tra i vari fattori: PTSD, ansia, stress e depressione si sono rivelati come conseguenze di violenze a lungo termine da parte di partner intimi. Diversamente fattori maggiormente legati alla regolazione emotiva risultano essere più fattori di rischio. Scendendo nel particolare, stili di attaccamento insicuro (M. Giannini, 2011) e alessitimia sono più comuni tra le donne vittime di IPV e si ipotizza siano parte dei fattori di rischio dell’IPV stesso (Craparo et al., 2014). Potremmo suggerire che esperienze negative e/o traumatiche in infanzia determinino lo sviluppo di un attaccamento insicuro, accompagnato da una regolazione emotiva deficitaria. Ciò comporta maggiore alessitimia e dunque un maggiore rischio sia di sviluppare relazioni disfunzionali e/o violente, che in generale più basse capacità di coping, che disinnescano i classici circoli viziosi delle relazioni violente.

Spostandoci invece sui partner abusanti, la letteratura necessita sicuramente di ulteriori approfondimenti. Tuttavia, sempre più risultati di ricerca fanno ipotizzare che l’alessitimia sia un fattore rilevante per la regolazione emotiva e il comportamento impulsivo ed aggressivo in partner abusanti. Sono state infatti individuate correlazioni tra alessitimia ed aggressività impulsiva. In particolar modo, risultati interessanti sono emersi dagli studi che hanno valutato le correlazioni tra alessitimia e IPV in veterani e membri delle forze militari USA. È emerso infatti che l’esposizione a traumi ripetuti (come quelli di esperienze di violenza e guerra) non solo predispongono a disturbi quali il Disturbo da Stress Post-traumatico, ma anche a deficit nell’elaborazione delle informazioni, che interferiscono con la capacità degli individui violenti di rispondere in modo appropriato agli stimoli sociali, aumentando il rischio di uso di violenza nelle relazioni (Taft, Walling, Howard, Monson, 2011) e ipoteticamente anche di agire IPV.

Specificatamente riguardo all’alessitimia, si è visto come questa sia parte di una catena di fattori che di fatto portano all’aumento di rischio di comportamenti di IPV. In dettaglio, alti livelli di alessitimia aumenterebbero la probabilità di utilizzo della soppressione come strategia per regolare le esperienze emotive; la quale in realtà aumenta l’arousal automatico e gli affetti negativi. Ciò determina una diminuzione della capacità di risolvere in modo efficace e flessibile l’ambiguità o conflitto in situazioni interpersonali (Chen et al., 2011, Laloyaux et al., 2015; Dalgleish et al., 2009, Gross and John, 2003; Ohira et al., 2006; Ben-Zur, 2009). Il tutto risultante in aumento del rischio di comportamenti abusivi e/o violenti in relazioni intime. Queste ipotesi sono ulteriormente sostenute da studi che avrebbero individuato, nello stesso tipo di campione, una correlazione tra alessitimia (DIF e EOT) ed una maggiore probabilità di impegnarsi in comportamenti coercitivi verbali (ad esempio, insulti o imprecazioni) e non verbali (ad esempio, sbattere porte o distruggere oggetti) nelle relazioni intime (Berke et al., 2017). Insomma, in questi casi l’alessitimia è il riflesso dell’incapacità di identificare ed esprimere emozioni diverse dalla rabbia. Contemporaneamente, l’alessitimia pare essere uno degli anelli di congiunzione tra trauma e deficit affettivi individuali e relazioni violente. Risulta particolarmente interessante la simmetria dei deficit e di alcune categorie diagnostiche tra abusanti e vittime, tuttavia è difficile comprenderne il motivo oltre alle chiare radici comuni.

In conclusione, possiamo dire che se la violenza nasce dal conflitto, il conflitto viene dal silenzio. Con silenzio intendendo il mancato scambio emotivo, la comunicazione inefficace. E nonostante la ricerca ancora debba soddisfare del tutto queste ipotesi, è chiaro che la comunicazione “alessitimica” sia il seme delle relazioni disfunzionali e a volte di quelle violente.

Giulio de Pasquale

Bibliografia

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