La censura del lutto

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censura del lutto

Dare le spalle (alla morte): paura o indifferenza?

“È lì, che giace per terra

Per malattia, o forse era in guerra.

È lì, nell’indifferenza

Cappuccio e mani in tasca, non mostra sofferenza”.

Siamo assuefatti dalla morte o la censuriamo volutamente? Chi è davvero pronto ad un lutto? È un argomento che si potrebbe trattare ogni giorno, viste le continue vittime delle malattie, delle guerre, della vita; eppure, sembra un taboo. Nessuno ne parla, vi è una censura del lutto. Tutti, o quasi, voltano le spalle e vanno via. Si ha paura di parlarne, e quando si è costretti a farlo, per esperienze dirette, non si sa come affrontarlo. La soluzione di molti è la fuga: ma è una soluzione o un semplice non voler entrare in contatto con un malessere che resterà latente per chissà quanto tempo?

La censura del lutto

La società contemporanea sembra aver cancellato il pensiero e la consapevolezza della morte, ha eliminato ogni senso di finitezza, generando e alimentando l’illusione di “uomo eterno” che può tutto e a nulla e nessuno mai renderà conto. (I. Testoni, 2019).

Ciò che più di ogni altra caratteristica distingue l’essere umano da altre specie animali è l’interrogarsi sul senso della vita e sulla morte. Sin dalle mummie in Egitto, fino all’Obolo di Caronte la morte è stata interpretata come un passaggio ad una vita futura, come ancora oggi professano molte religioni. Ad oggi, la celebrazione della morte, viene “delegata” alle religioni e quindi allontanata dalla vita sociale, culturale e educativa (le quali mettono in atto una censura del lutto). È una tematica che sta sparendo sempre più dalla quotidianità della nostra società, a partire dal lessico (non) utilizzato, fino ad arrivare, a volte, a censure del lutto in contesti televisivi o di piattaforme streaming.

Se in passato i discorsi intorno al morire si servivano dunque del linguaggio religioso, oggi essi adoperano un lessico mutuato dall’ambito medico, giuridico e assicurativo. Le stesse religioni, dinanzi alla morte, sembrano sempre più interessate a questioni terrene piuttosto che a temi che riguardano la salvezza. E questo accade proprio perché sembra che nessuno voglia più scommettere su qualcosa che ci riguardi dopo la vita biologica.

La paura della morte è alla base di tutti i comportamenti umani, sia quelli individuali sia collettivi. Nel campo della psicologia sociale, la Terror Management Theory (TMT) spiega il perché della tendenza a evitare il pensiero della morte, dimostrando con centinaia di evidenze empiriche come essa sia indispensabile per vivere serenamente. Secondo la TMT, l’uomo è l’unico animale cosciente di dover morire e poiché come tutti gli animali ha paura della morte, per poter sopportare tale condizione esistenziale e non essere paralizzato dall’angoscia non può che relegare nell’inconscio la consapevolezza della finitudine (I. Testoni, 2019). La cultura odierna va nella direzione opposta rispetto alle precedenti, in cui, anche grazie alle religioni, ai simbolismi su cui si fondavano le civiltà, vi era una cospicua ricerca dell’eterno, del senso della finitudine, portando più a una paura del “peccato eterno” piuttosto che della morte in sé, lenendone anche il dolore ad essa correlato.

Riti funebri nelle diverse culture

Le differenze culturali, che ci sono tra popoli apparentemente diversi, tendono a far storcere il naso quando le si paragonano alle proprie.  Se parliamo di riti funebri, allora, quanto appena detto è particolarmente vero. Andando a scoprire alcuni riti funebri appartenenti ad altre parti del mondo, potrebbero sembrarci a prima vista alquanto “strani”, ma al contempo affascinanti.
In Tibet praticano la “sepoltura in cielo” che consiste nel posizionare la salma su un’alta vetta, in attesa che gli uccelli predatori e gli avvoltoi vi si avventino. Per quanto macabro possa sembrare, questo rituale ha origini Buddhiste e sottolinea che il corpo è solo il “contenitore dell’anima”.
Anche in Iran, fino a pochi decenni fa, le sepolture avvenivano in cima, ma in questo caso sulla Torre del Silenzio (un dakhma). La tradizione risaliva alla religione zoroastrista e serviva ad evitare l’inquinamento della terra pura, visto che la morte è considerata, per loro, un male.
A Hong Kong la religione lascia lo spazio alle esigenze sociali: a causa della sovrappopolazione è quasi impossibile adottare altre misure diverse dalla cremazione e le ceneri vengono disperse nel mare.
In india, nello specifico a Varanasi,  ci sono pire che bruciano senza sosta nelle quali vengono bruciati i corpi defunti dopo essere stati avvolti in panni colorati. I membri maschili della famiglia si occupano, infine di spargerne le ceneri nel Gange.
Una tradizione che ad una cultura come la nostra potrebbe sembrare al limite tra il macabro e il blasfemo è quella del “ballo coi morti” in Madagascar. La famadihana (letteralmente rotazione delle ossa) consiste nel riesumare ogni cinque anni il corpo del membro della famiglia, avvolgerlo in nuove vesti, e fare festa tutti insieme fino al tramonto. Al calare del sole, i corpi vengono nuovamente seppelliti, ma capovolti rispetto alla volta precedente. Anche in questo caso il rito nasce dalla cultura secondo la quale si possa passare ad una nuova vita solo dopo che le ossa si deteriorano.
In Ghana, i defunti sono considerati più potenti dei vivi e vengono seppelliti in tombe particolarmente appariscenti che rappresentano ciò che il defunto faceva nella vita terrena e che continuerà a fare in quella “nuova”.
In America, dopo la cerimonia funebre, si svolgono veri e propri festeggiamenti in onore del defunto, con l’intento di “alleggerire” il dolore dei familiari attraverso la positività e con la vicinanza e la condivisione di parenti e amici.
In Australia, nella stanza del defunto solitamente si crea tanto fumo per  invogliare la sua anima ad abbandonare la casa. Dopo la cerimonia funebre, come in America, si festeggia in suo onore.
Infine, come ben sappiamo, in Italia il rito funebre è un rituale che prevede una cerimonia molto seria vissuta con estremo dolore da parte di amici e parenti. Solitamente la cerimonia si svolge in chiesa, e nella maggior parte dei casi si procede con la tumulazione.

Si può evincere che ogni cultura ha un modo completamente diverso di interpretare la morte e di conseguenza di affrontare il lutto. In Italia, essendoci un’altissima relazione tra morte e sofferenza, si tende spesso a trattarlo come un argomento scomodo, da evitare, da censurare, che è possibile affrontare solo in momenti in cui è inevitabile farlo, in particolar modo, appunto durante le apposite cerimonie.

La censura del lutto con i bambini e il lutto nei cartoni animati

Un modo sicuramente funzionale per iniziare ad educare i bambini sin dalla tenera età al tema della morte è quello di affrontarlo nei cartoni animati, piuttosto che censurarlo. Esistono diverse scene, ormai famosissime, di cartoni animati considerate “traumatiche” per i bambini, una su tutte la morte della mamma di Bambi nell’omonimo film della Disney; ma anche la morte di Mufasa ne “Il Re Leone” e tante altre. I cartoni animati, nel tempo, sono diventati sempre meno crudi e sempre più costruiti sulle esigenze sia dei bambini sia degli educatori e questo ha portato ad un modo sicuramente diverso di affrontare i temi più pesanti, come può essere quello del lutto (e della censura del lutto). Tra i titoli più famosi è importante citare Big Hero 6, Coco e Soul (Disney Pixar). Il primo tratta il tema con delicatezza, mostrando una per una le fasi del lutto vissute dal protagonista dopo la perdita del fratello: la negazione, la rabbia, il chiudersi in casa per due settimane, la depressione, e il riscatto personale. In Coco è possibile sia vedere e conoscere rituali funebri della cultura messicana (Día de los Muertos), sia essere accompagnati dalla musica e dalla dolcezza del protagonista in un viaggio nell’aldilà. Anche in Soul vi è un contatto con un mondo ultraterreno, rappresentato in maniera diversa e per lo più simbolica, ma in questo caso è lo stesso protagonista a perdere la vita, il quale dopo una serie di peripezie fatte per riottenerla impara finalmente ad apprezzarne anche le piccole cose. È evidente come, se fatto nel modo giusto, educare sin dall’infanzia al tema della morte, può portare ad una consapevolezza ed accettazione migliori. È molto importante che i bambini siano pronti ad affrontare ciò che il ciclo della vita potrebbe manifestare loro prematuramente, non è raro infatti che un bambino debba purtroppo avere a che fare con la perdita di un proprio caro, nella maggior parte dei casi dei nonni, e che possano essere confusi in merito se non sono già stati a contatto col tema della morte. I cartoni animati, con il giusto accompagnamento da parte dei caregiver possono essere un ottimo punto di partenza per evitare una censura del lutto e portare avanti generazioni di giovani e adulti più consapevoli.

Simone Lovreglio

Bibliografia

Bugen LA. Coping: Effects of Death Education. OMEGA – Journal of Death and Dying. 1981;11(2):175-183. doi:10.2190/JQPA-QFHW-VQ7A-MCAK

Cox M, Garrett E, Graham JA. Death in Disney Films: Implications for Children’s Understanding of Death. OMEGA – Journal of Death and Dying. 2005;50(4):267-280. doi:10.2190/Q5VL-KLF7-060F-W69V

Dr. Judy Oaks & Dr. Daniel L. Bibeau (1987) Death Education: Educating Children for Living, The Clearing House: A Journal of Educational Strategies, Issues and Ideas, 60:9, 420-422, DOI: 10.1080/00098655.1987.9959393

Greenberg, Jeff, and Jamie Arndt. “Terror management theory.” Handbook of theories of social psychology 1 (2011): 398-415.

Joseph A. Durlak & Lee Ann Riesenberg (1991) The impact of death education, Death Studies, 15:1, 39-58, DOI: 10.1080/07481189108252408

Testoni I. (2016) “PSICOTERAPIA E SCIENZE UMANE” 2/2016, pp. 229-252, DOI:10.3280/PU2016-002004

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