Eco-Ansia

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ECO-ANSIA

Abstract

L’obiettivo di questo articolo è dare una panoramica generale su cosa sia l’eco-ansia e su cosa possiamo fare per contrastarla. Essendo quest’ultima il risultato della crisi ambientale che stiamo vivendo, diventa fondamentale definire, oltre al significato, la sintomatologia per provare a capire quali possano essere le strategie da sviluppare e i metodi per contrastarla all’interno del nostro lavoro di psicologi e psicoterapeuti. Verranno quindi esposte:
– le principali definizioni presenti in letteratura dell’eco-ansia;
– la sintomatologia emotiva e fisiologica associata a questo tipo di disturbo;
– alcuni degli studi presenti in letteratura inerenti alla sperimentazione di questionari
sul tema;
– variabili socio demografiche e culturali che possono influenzare l’insorgere del
disturbo (ad esempio la maggiore attivazione dei giovani, dovuta forse all’impatto dei
mass media);
– cosa possiamo fare da psicologi, orientandosi sulle strategie di risposta possibili e su
una maggiore spinta verso la ricerca sull’eco-ansia.

Parole chiave: eco-ansia, cambiamento climatico, salute mentale

Cos’è l’eco ansia?

Il cambiamento climatico è riconosciuto ad oggi come una delle minacce globali più gravi dell’ultimo secolo e come tale comporta un impatto non solo sull’ambiente, ma anche sulla nostra salute, fisica e soprattutto mentale.
La reazione emotiva e fisiologica che emerge in risposta ai cambiamenti ambientali viene comunemente detta “eco-ansia”. In letteratura ad oggi il termine eco-ansia si declina in differenti significati, elencati di seguito:
– una paura cronica del disastro ambientale;
– ansia associata al peggioramento delle condizioni ambientali;
– ansia sperimentata in risposta alla crisi ecologica.
La definizione più comunemente utilizzata del termine è quella data dall’American Psychology Association (Clayton, Manning, Krygsman & Speiser, 2017) si tratta di una “paura cronica di catastrofi ambientali”.
Ma non si parla solo di ansia: in realtà esistono altri termini che vengono associati alla risposta emotiva e fisiologica del nostro organismo al cambiamento climatico, come ad esempio il dolore ecologico, che si prova in risposta a perdite del mondo naturale vissute o previste, o la solastalgia, che indica il senso di malessere che ci invade quando l’ambiente che ci circonda è stato violato, distrutto, abbandonato, includendo l’ambiente domestico, fino ad arrivare all’eco-angoscia, un sentimento di disperazione per le condizioni del pianeta. Dalla varietà di termini che sono stati coniati in riferimento alla risposta del nostro organismo al cambiamento climatico, riusciamo a capire che la ricerca sull’eco-ansia sta procedendo verso nuove scoperte; certo è però che data la recenza della problematica, gli studi su questa tipologia di sentimento sono ancora pochi e spesso incompleti.

Quando si cita l’eco-ansia dunque, come evidenzia già la parola stessa, si parla di una esperienza emotiva che non intacca la persona nel presente, ma in questo caso la persona ne percepisce gli effetti in maniera anticipatoria e proiettiva. Si parla quindi di un distress causato dal cambiamento climatico, da non confondere con l’ansia climatica (quest’ultima infatti è una patologia). E’ possibile inoltre individuare delle sottocomponenti dell’eco-ansia, tra cui:
– ansia da cambiamento climatico, la più conosciuta, che indica preoccupazione generica per il cambiamento ambientale, con compromissione cognitiva, emotiva o funzionale e sintomi corporei;
– climate change worry, caratterizzata da pensieri ricorrenti e catastrofici, difficili da controllare e persistenti sul cambiamento climatico.
Tra tutti questi aspetti negativi che caratterizzano l’eco-ansia, Pihkala decide comunque di evidenziare alcuni aspetti positivi, come la presenza di un interesse dunque di una motivazione all’azione tale per cui la voglia di fare qualcosa di concreto per l’ambiente suscita la preoccupazione cardine dell’eco-ansia (Pihkala, 2020). Ed in effetti sentimenti come eco-rabbia ed eco-depressione sembrano promuovere l’azione collettiva; per quanto riguarda l’eco-ansia in sè, sembra promuovere meno azione collettiva e più disinteresse per le questioni ambientali (Stanley et al., 2021)
Recenti lavori hanno inoltre portato alla luce un’altra componente dell’eco-ansia, detta esistenziale: Rehling parla ad esempio del legame tra il cambiamento climatico e la morte, evidenziando come il primo possa incidere sul secondo in termini di sopravvivenza della specie umana, della cultura, delle nuove generazioni (Rehling, 2022).
Secondo Yalom (1980) le caratteristiche cardine di una preoccupazione esistenziale sono 4: morte, isolamento, libertà e minaccia al significato della vita. Queste caratteristiche persistono anche nell’ansia legata al cambiamento climatico: ad esempio, a volte l’eco-ansia è correlata al minor desiderio di avere figli, il quale si configura come minaccia al significato della vita, anche se effettivamente questa relazione rimane ancora non chiarita a livello sperimentale (Helm, Kemper & White, 2021). Nello stesso studio proposto da Helm et al. emerge però un aspetto fondamentale: la presenza di sentimenti di tristezza ed ansia per la qualità della vita che avranno i bambini nati oggi.
Possiamo quindi parlare di eco-ansia come una patologia? Albrecht nel parlare dell’eco-ansia la definisce una psychoterratic syndrome, inserendola dunque tra le patologie (Albrecht, 2011); studi più recenti invece la definiscono come una reazione razionale al cambiamento climatico che si manifesta in risposta alla crisi climatica (Hickman et al, 2021). Dunque, la risposta è no: l’eco-ansia non è considerata come una patologia e non va dunque confusa con i disturbi d’ansia. Tuttavia, gli esperti ritengono che le preoccupazioni relative al cambiamento climatico possano innescare problemi di salute mentale latenti e dunque, come abbiamo accennato, può avere un grosso impatto sulla salute psico-fisica degli individui (Usher et al., 2019).

Come si manifesta l’Eco-ansia?

Avendo visto dunque l’importante impatto che l’eco-ansia ha sulla salute psico-fisica delle persone, sorge spontaneo chiedersi “come si manifesta nel dettaglio?”
Il cambiamento climatico, nello specifico, ha alcune caratteristiche distintive:
● è una minaccia reale, quindi è razionale provare qualche preoccupazione;
● è in corso e in via di sviluppo, quindi il semplice adattamento al cambiamento non è
del tutto possibile;
● è incerto, quindi l’ansia potrebbe essere una risposta più comune della paura;
● è condiviso a livello globale, quindi le risposte degli altri possono essere utilizzate
come indicatore;
● ed è una minaccia grave e significativa (Clayton, 2020).
Appare dunque evidente che gli effetti acuti che derivano da disastri naturali o eventi atmosferici estremi toccano sensibilmente molte persone.
Le cause sarebbero da attribuire a molteplici aspetti come ad esempio alle lesioni, danni o perdite personali, di cari, animali o oggetti e proprietà, provocate da tali eventi. Questi fattori potrebbero influire sul possibile conseguente sviluppo di psicopatologia, in primis ansia, seguita in quest’ordine da fobie, problemi somatici, abuso di alcol, depressione e uso di sostanze (Clayton et al., 2017). Inoltre possono sviluppare alcuni disturbi, come: Disturbo da stress acuto (con sintomi di annullamento o distacco, alterata percezione di realtà, depersonalizzazione ed amnesia dissociativa), Disturbo post-traumatico da stress e Aumento di ideazione suicidaria.
Il cambiamento climatico geofisico ha dunque degli effetti dannosi sulla salute mentale, e le ragioni di tali impatti vanno dalla rottura dell’identità e dell’attaccamento al luogo, ad esempio tra le persone le cui case sono state distrutte o che sono costrette ad andarsene, all’ansia associata all’incertezza sull’ambiente futuro, al dolore per la perdita di beni di valore, luoghi e cose (Wang et al., 2018), alla preoccupazione per possibili danni futuri ai propri figli.
Se guardiamo più vicino, troviamo quindi emozioni come l’ansia generale – intesa come un’emotività negativa caratterizzata da sintomi fisici e apprensione orientata al futuro in cui l’eco-ansia si concentra sulle preoccupazioni per il cambiamento climatico (Coffey et al., 2021). L’ansia porta con sé in generale tutta la una serie di sintomatologia come la paura di morire, i pensieri ossessivi riguardanti la sicurezza, assieme a sintomi somatici come palpitazioni, affanno, mal di testa, o altre esperienze confondibili con altre malattie fisiche (Emilien, 2002).
Ancora, troviamo comportamenti fisici negativi, come l’ammalarsi fisicamente, alcune reazioni emotive avverse come irritabilità, debolezza, insonnia, tristezza, depressione, intorpidimento, impotenza, disperazione, senso di colpa, frustrazione o rabbia, e sentirsi spaventati o incerti (Doherty & Clayton, 2011; Gifford & Gifford, 2016).
È stato inoltre evidenziato che le persone potrebbero trovarsi in uno stato di paralisi che si manifesta come apatia (Clayton, 2020).
Tutto ciò offre un quadro molto chiaro dunque sul perché il cambiamento climatico dovrebbe essere un problema che interessa agli psicologi in quanto il benessere e la salute mentale di adulti, giovani e anziani, nella situazione odierna, coinvolge in modo preponderante anche questi aspetti. Rispetto alle precedenti, la generazione moderna cresce con una maggiore consapevolezza dell’impatto del cambiamento climatico sul pianeta, grazie certamente alla risonanza mediatica che sa avendo il fenomeno (Martin, Reilly, Everitt & Gilliland, 2022)

Come si misura l’Eco-ansia?

Il cambiamento climatico sta incidendo sulla salute mentale globale, ed è inoltre un fenomeno destinato a crescere in modo significativo nei prossimi anni. Per questi motivi, è fondamentale disporre di una misura dell’ansia da cambiamento climatico al fine di affrontare adeguatamente l’impatto psicologico che questo comporta. Stando alle informazioni presenti in letteratura è utile chiedersi allora “Come si individua/discrimina l’eco-ansia?”. Tra i pochi e recenti studi presenti troviamo le validazioni di alcune scale come la Climate Change Anxiety Scale (CCAS) e la Climate Change Worry Scale (CCWS), vediamole ora nel dettaglio.
La CCAS consiste in una scala di autovalutazione creata da Clayton e Karazsia (2020) che indaga l’ansia autopercepita in relazione al cambiamento climatico e alla percezione della propria ansia.
La scala è composta da 13 items, in cui l’intervistato valuta la frequenza con cui sperimenta il fenomeno descritto dall’item con una scala Likert da 1 a 5, dove 1 = Mai; 2 = Raramente; 3 = A volte; 4 = Spesso; 5 = Quasi sempre. Il CCAS è diviso in due sottoscale: la prima valuta la “Compromissione Cognitiva” (Cognitive Impairment; item da 1 a 8), che riguarda difficoltà di memoria, di apprendimento, di concentrazione e decisionali; la seconda valuta la “Compromissione Funzionale” (Functional Impairment; item da 9 a 13), ovvero, la difficoltà nel portare a termine compiti quotidiani dovuta alla malattia.
Punteggi elevati corrispondono al elevati livelli di ansia da cambiamento climatico.

La CCWS è una scala self-report ad un fattore creata e validata originariamente da Stewart (2021). Questa scala è composta da 10 item, ed è progettata per valutare il livello di pensieri preoccupanti e disturbanti che le persone sperimentano riguardo al cambiamento climatico. La preoccupazione è un effetto cognitivo comune del cambiamento climatico, nonché un sintomo comune della maggior parte dei disturbi emotivi associati al cambiamento climatico e proprio per questo motivo misurarla è estremamente utile per valutare la risposta emotiva al cambiamento climatico. 

Gli items valutano la frequenza con cui il soggetto sperimenta stati d’animo negativi riguardo il cambiamento climatico. Le risposte vengono indicate su Scala Likert (1 = Mai, 5 = Sempre) e punteggi più alti indicano livelli maggiori di preoccupazione.


E tu come ti senti nel rispondere a queste domande? Quali sono le tue sensazioni riguardo al futuro? Cimentati nel rispondere alle domande dei test. 

Cosa possiamo fare come psicologi? 

Da una prima analisi della letteratura esistente, emerge una qualche forma di speranza. Oltre alle componenti negative del fenomeno che abbiamo descritto, è bene ricordare che parlando di ansia, spesso queste emozioni possono anche rappresentare un sano adattamento psicologico e una risposta alla minaccia (Clayton et al., 2017; Clayton & Karazsia, 2020). Tra le emozioni o i comportamenti positivi riportati nei vari studi troviamo sentimenti di speranza, empowerment e connessione, in particolare se associati all’azione collettiva. Questi sentimenti possono anche essere una fonte di motivazione per un impegno attivo e concentrarsi sugli sforzi di mitigazione. È stato anche osservato che l’eco-ansia potrebbe essere associata a comportamenti pro-ambientali, in ​​termini di uno stile di vita più ecologicamente sostenibile, compreso l’attivismo climatico che potrebbe tamponare l’impatto sui sintomi del disturbo da depressione maggiore (Pihkala, 2020). Pertanto, uno studio (Verplanken et al., 2020) ha dimostrato che la preoccupazione ecologica, priva di qualsiasi psicopatologia, era associata a una visione del mondo pro-ecologica e ad un’identità personale verde.

Il cambiamento climatico, dunque, sta avendo forti ripercussioni in numerosi ambiti, tra cui quello della salute mentale. Gli eventi meteorologici e i disastri naturali indotti dal cambiamento climatico hanno un forte impatto sulla nostra salute mentale, in quanto possono causare disturbi del sonno, stress, depressione, disturbi da stress post-traumatico e ideazione suicidaria.

Un’indagine italiana condotta nel 2019 su un campione nazionale di 800 giovani adulti ha indicato che, per il 51% di loro, il cambiamento climatico rappresenta la fonte primaria del loro disagio. Ma allora, cosa possiamo fare per intervenire sui sintomi dell’ecoansia? Ciò che contribuisce alla costante sensazione di ansia e preoccupazione per il futuro è, innanzitutto, una comunicazione sbagliata. Molto difficile, infatti, risulta il dialogo. La comunicazione sulla crisi climatica rischia infatti di paralizzare poiché provoca un’estrema paura. Come spiegano gli psicologi cognitivi, quando abbiamo a che fare con informazioni che incutono terrore e manca una prospettiva positiva, si paralizzano anche i comportamenti prosociali. Ciò vuol dire che vivere nel terrore del cambiamento climatico non favorisce neppure un dialogo costruttivo e un attivismo sano e congruente, rischiando di reiterare emozioni negative. Forte ansia e sensazioni di rovina incombente, alimentate dagli scenari catastrofici, paralizzano e non aiutano a cambiare. Le informazioni minacciose inducono la gente a sottrarsi, invece siamo più motivati a mettere in atto comportamenti favorevoli all’ambiente quando associamo la tutela del clima anche a conseguenze positive e non solo a rinunce o alla necessità di impedire prevedibili effetti negativi. Quindi, il secondo ingrediente per aumentare la nostra attenzione verso l’ambiente è una visione positiva del futuro che miri al benessere, individuale e sociale, piuttosto che all’evitamento di un pericolo futuro. 

Si possono infatti  identificare due potenziali obiettivi: il benessere individuale e l’impegno negli sforzi per mitigare il cambiamento climatico nel tentativo di promuovere il benessere sociale (Clayton, 2020).

A livello di benessere individuale, affrontare la minaccia del cambiamento climatico implica concentrarsi sull’efficacia con cui le persone gestiscono le proprie risposte emotive, includendo strategie comportamentali, nonché cognitive ed emotive. La misura in cui le persone si impegnano in risposte di impegno comportamentale o di gestione emotiva – ciò che potrebbe essere vagamente descritto come coping incentrato sul problema o sull’emozione – dipende da una valutazione della capacità di affrontare efficacemente un fattore di stress (Higginbotham, Connor, e Baker, 2014). Generalmente, il coping focalizzato sul problema tende ad essere associato a un maggiore benessere nel lungo periodo, perché il coping focalizzato sulle emozioni non affronta il problema sottostante. Tuttavia, quando i problemi non possono essere risolti, una gestione focalizzata sul problema potrebbe portare a un disagio maggiore. In generale, quando si tratta di cambiamento climatico, è improbabile che la risposta di un singolo individuo possa dissipare completamente la minaccia del cambiamento climatico.

Le strategie di coping incentrate sulle emozioni si basano su tecniche come la ristrutturazione cognitiva per de-enfatizzare la minaccia o la negazione totale. La terapia cognitivo comportamentale per affrontare l’ansia può incorporare questo tipo di strategia per incoraggiare l’individuo a ridurre la propria valutazione della minaccia (Carpenter et al., 2018). Ciò potrebbe contribuire a ridurre l’ansia nel breve termine, ma nella misura in cui permane il problema del cambiamento climatico, è improbabile che sia efficace a lungo termine. Inoltre, non fa nulla per promuovere il benessere sociale. Tuttavia, il coping focalizzato sul problema potrebbe concentrarsi sulla rivalutazione della capacità di fornire risposte comportamentali individuali o sul lavoro per promuovere cambiamenti sociali.

Il coping focalizzato sul significato implica strategie per attingere alle proprie convinzioni, valori e obiettivi per suscitare sentimenti positivi associati a un fattore di stress, che non eliminano le emozioni negative ma tamponano l’effetto dannoso di tali emozioni sul benessere. Queste strategie potrebbero eliminare o almeno mitigare la risposta ansiosa al cambiamento climatico. In parole povere, sia le strategie focalizzate sul significato che quelle focalizzate sulle emozioni possono coinvolgere la speranza, ma nel primo caso la speranza si basa sull’ottimismo e nel secondo caso sulla negazione. Nella ricerca di Ojala (2012) , l’uso di coping incentrato sul significato era collegato a un maggiore impegno ed efficacia ambientale, nonché alla soddisfazione di vita e agli affetti positivi, e accompagnato da livelli inferiori di affetti negativi. 

Il coinvolgimento nell’attivismo sul cambiamento climatico potrebbe essere descritto come una forma non solo di coping ma di adattamento, ovvero di adattamento a un nuovo modo di vivere. Doherty (2015) ha sottolineato l’importanza dell’empowerment: incoraggiare le persone che soffrono di ansia climatica a impegnarsi in azioni di conservazione può promuovere l’efficacia e la competenza percepita, portando a una “cascata di adattamento-mitigazione” in cui lavorare per mitigare il cambiamento climatico facilita l’adattamento alla minaccia. Reser et al. (2012) suggeriscono che l’impegno nell’attivismo climatico, da parte di coloro che non sono stati direttamente colpiti, potrebbe essere considerato una forma di coping proattivo o anticipatorio. 

AFFRONTARE L’ECO-ANSIA 

Tuttavia, poiché i cambiamenti ecologici globali sono destinati a durare, in una forma o nell’altra, dobbiamo sviluppare modi per affrontarne le conseguenze. I possibili mezzi per ridurre i livelli di ansia includono: la terapia psicologica (principalmente terapia cognitivo comportamentale) e i farmaci (attraverso ansiolitici e antidepressivi), ma anche cambiamenti nello stile di vita, in particolare aumento dell’esercizio fisico, diete sane e yoga. Ancora, importante è esercitare la resilienza intesa come capacità di rispondere a stress e traumi. La cittadinanza ecologica è un modo possibile per sviluppare la resilienza nel nostro tempo di rapidi cambiamenti ambientali globali. Il termine “cittadinanza” conferisce un senso di azione, di partecipazione alla comunità morale e/o politica a cui si appartiene. L’espressione “cittadinanza ecologica” è stata coniata a metà degli anni ’90 come una nozione rinnovata e ampliata di cittadinanza che avrebbe aiutato l’umanità ad affrontare i problemi ambientali globali, come l’estinzione di massa di origine antropica, il cambiamento climatico e l’esaurimento dell’ozono.

A differenza di altre forme di cittadinanza, la cittadinanza ecologica non è interessata principalmente alla partecipazione politica al processo decisionale che determina i termini della cooperazione sociale, ma piuttosto ai cambiamenti nei comportamenti e negli atteggiamenti sottostanti. La ragione principale di ciò è che i cambiamenti più sostenibili nel comportamento non provengono da misure sociali, economiche e politiche messe in atto dai governi locali o nazionali, ma da cambiamenti volontari negli atteggiamenti che sono alla base dei nostri comportamenti. Le politiche volte a promuovere la sostenibilità, come gli incentivi e i disincentivi fiscali, possono effettivamente cambiare i comportamenti delle persone, ma la maggior parte di questi di solito non durano più a lungo delle politiche, perché spesso non cambiano gli atteggiamenti di fondo delle persone. Cambiare innanzitutto l’atteggiamento delle persone, al contrario, può portare a cambiamenti comportamentali più sicuri e duraturi. Comportamenti e società veramente sostenibili non possono basarsi esclusivamente su azioni egoistiche che sono a loro volta basate su incentivi e disincentivi economici, come le tasse sul carbonio, le tasse sui rifiuti e i sistemi di tariffazione stradale. La sostenibilità richiede cambiamenti volontari negli atteggiamenti a un livello profondo, più profondo di quello raggiunto dalle misure fiscali. Uno degli obiettivi chiave della cittadinanza ecologica è quello di sviluppare un quadro più ampio della motivazione umana rispetto a quello fornito da un approccio incentrato su comportamenti egoistici allineati con incentivi e disincentivi, come è tipico della visione del mondo economica e dell’approccio agli studi ambientali. Alla motivazione esterna o estrinseca alla tutela dell’ambiente procurata dagli strumenti giuridici ed economici, la cittadinanza ecologica aggiunge motivazioni interne o intrinseche basate sui doveri, sulle responsabilità e soprattutto sulle virtù dei cittadini attenti all’ambiente. I cittadini virtuosi interiorizzano lo scopo e il valore delle buone pratiche ambientali, basando così la loro obbedienza non solo su mere motivazioni esterne di prezzo, punizione o divieto, ma su doveri autoimposti e attività virtuose autonome.

La cittadinanza ecologica è una possibile via per riprendersi dall’eco-ansia e dai suoi effetti psicologici. I cittadini ecologici hanno maggiori probabilità di sviluppare eco-ansia, poiché il loro impegno civico si basa su una consapevolezza ambientale che è a sua volta basata sulla conoscenza dello stato del pianeta e/o sugli impatti ecologici sperimentati. Allo stesso tempo, sono anche più propensi a far fronte all’eco-ansia, poiché percepiscono la cittadinanza come intrinsecamente legata all’azione ambientale, sia a livello individuale delle scelte di vita che a livello collettivo della formulazione delle politiche. Non solo sviluppano una solida conoscenza delle questioni ambientali; agiscono anche su di esso, sia a livello individuale che collettivo. Anche se le loro conoscenze e/o esperienze possono inizialmente renderli più vulnerabili all’eco-ansia e ai suoi disturbi, non si lasciano paralizzare dal loro carico psicologico. Traggono la loro motivazione ed energia da un alleato molto potente: la consapevolezza.

Quali sono le virtù caratteristiche del cittadino ecologico? I possibili candidati includono la giustizia, temperanza, semplicità  e sobrietà energetica.

La consapevolezza rappresenta una virtù importante che può aiutare a costruire resilienza e ridurre i livelli di eco-ansia. Nel suo elenco di virtù verdi utili per affrontare i cambiamenti ambientali globali, Dale Jamieson spiega che la consapevolezza può aiutarci a “migliorare il nostro comportamento” aiutandoci ad “apprezzare le conseguenze delle nostre azioni remote nel tempo e nello spazio”.

Sarah Jaquette Ray aggiunge che la consapevolezza è una “pratica di restare nel momento” originariamente utilizzata dai brahmani e dai monaci buddisti e che ora è sempre più apprezzata da neuroscienziati e psicologi per la sua capacità di “migliorare l’autoregolamentazione e favorire un senso di agenzia.”

La consapevolezza significa prestare attenzione, essere presenti facendo un passo indietro rispetto al flusso di informazioni all’esterno e al flusso di emozioni all’interno. Secondo David Treleaven, “Grazie al fatto che prestano un’attenzione attenta e non giudicante al loro mondo interiore, le persone che praticano la consapevolezza sono più auto-reattive alle proprie emozioni e possono anche avere meno esaurimento emotivo. [La consapevolezza] aumenta anche la loro capacità di essere presenti con emozioni e pensieri stimolanti senza reagire in modo eccessivo.

Daniel Freeman e Jason Freeman completano il quadro sottolineando che la consapevolezza è un possibile trattamento per l’ansia e i disturbi d’ansia: la concepiscono come una “sintesi del moderno pensiero psicologico occidentale e delle antiche credenze e pratiche buddiste, in particolare la meditazione, che enfatizza l’imparare a vivere nel momento, e comprendere che i tuoi pensieri e sentimenti sono temporanei, transitori e non necessariamente un riflesso della realtà.

La consapevolezza non può permetterci di sfuggire completamente alle emozioni negative come l’eco-ansia; ci aiuta piuttosto a gestirli, prima affrontandoli, poi tollerandoli e infine accettandoli. Il primo passo verso la consapevolezza è la consapevolezza, non del mondo esterno, ma questa volta del nostro mondo interiore: smettiamo di combattere le nostre emozioni negative e le riconosciamo invece come tali. La consapevolezza inizia con il riconoscimento dei nostri sentimenti di vulnerabilità di fronte ai rischi ecologici e ai pericoli trascendentali: “Possiamo aprirci e affrontare il sentirci vulnerabili”.

Attraverso la consapevolezza, “I nostri sentimenti diventano entità di cui possiamo parlare e guardare dritto negli occhi, invece di scappare”.

La Mindfulness aiuta anche a rassicurarci dandoci gli strumenti per risalire all’origine della nostra eco-ansia: questa emozione non è assurda né esagerata; originariamente, come abbiamo visto sopra, l’eco-ansia è solo una reazione razionale a ciò che sappiamo sullo stato del pianeta. Qualunque cosa gli altri dicano di questa reazione, si tratta innanzitutto di una risposta giustificata a un pericolo reale.

In che senso la consapevolezza è una virtù ?

Jamieson definisce le virtù come “generatori non calcolativi di comportamenti”.

Sono tratti caratteriali che ci motivano ad agire indipendentemente dalle nostre capacità di calcolo e dal comportamento degli altri. Ciò è cruciale nel nostro contesto attuale, perché “quando si tratta di problemi di azione collettiva su larga scala, il calcolo invita alla follia o al cinismo”:

follia, perché i conti sono troppo complicati e talvolta impossibili da fare; cinismo, perché nulla sembra cambiare se non collaboro. Guidare un SUV non cambierà di per sé il clima, né il mio astenermi dal guidarlo stabilizzerà il clima.

Mentre i calcoli utilitaristici sembrano condurci in una spirale discendente di non cooperazione, le virtù sostengono modelli di comportamento qualunque cosa gli altri facciano o non facciano: “ci danno la resilienza necessaria per vivere vite significative anche quando le nostre azioni non sono ricambiate”.

La consapevolezza significa essere presenti nel momento, prestando attenzione al nostro ambiente naturale diretto e più distante, indipendentemente da come si comportano gli altri.

 

Dunque, cominciamo! Ma come? 

Per cominciare dobbiamo chiederci: quando, dove e come voglio sperimentare qualcosa di nuovo, superare le mie abitudini, spingermi a fare ciò che conosco? In quale situazione, con chi, in quale momento metterò in pratica il mio intento? Che cosa farò quando si presenteranno degli ostacoli? Le ricerche sulla motivazione ci indicano che sono utili dei piani costruiti con la formula “quando-azione”, che ognuno deve formulare per se stesso. Sapere come intervenire con efficacia è a volte più importante che conoscere a fondo il sistema climatico! 

 

Giada Marciano

Ketty Ruscica

Silvia La Face 

 

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