Vivere un lutto: rinarrazione e ricostruzione di un legame che continua

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lutto comprendere

Se c’è un senso nella vita, allora deve esserci un significato nella sofferenza.

(Viktor E. Frankl, 2006)

 

Come esseri umani, animali sociali e con intelligenza superiore alle altre specie, viviamo non solo un mondo fisico presente e concreto ma viviamo anche in e attraverso un mondo simbolico, abitato da ricordi a lungo termine, anticipazioni, valutazioni, obiettivi, interpretazioni, speranze, rimpianti, credenze, metafore e, dunque, significati (Neimeyer, 2009).  Abitare e costruire un mondo simbolico ci permette di ricamare l’esperienza con il linguaggio, raccontando e ascoltando, maneggiando e rimaneggiando storie, fino a tessere di significati gli eventi e la totalità delle nostre vite. Ci sono però momenti in cui, scontrandoci improvvisamente contro eventi incompatibili, inaspettati e spesso anche incontrovertibili, ci possiamo sentire immobili e alienati, in un mondo inabitabile: la tela di significati che ci tiene può come recidersi o aggrovigliarsi, o anche disfarsi. Metaforicamente, è questo quello che si può sentire dopo la notizia improvvisa di morte di un familiare, o di un amico, ma anche dopo l’annuncio di diagnosi di grave malattia di un parente, o con l’improvvisa fine di un amore: il contesto del lutto, da morte, perdita o separazione, reale o anticipata, è capace di dare origine ad una crisi di significato. Risulta utile in questi casi orientare un processo di ricostruzione dei significati e ricostruzione del legame con la persona scomparsa, affinché si possa essere di nuovo in grado di scrivere la propria storia.

Partendo da parole e significati nel lutto

Come homo narrativus, che si serve del linguaggio per costruire e costruirsi, è quanto mai utile riflettere sulle parole usate per riferirsi al tramonto di una vita, ossia la morte. Il termine lutto deriva dal latino lugere (= piangere) e si riferisce, più propriamente, al tipo di perdita connesso alla morte, e include, oltre al cordoglio interiore, un insieme di pratiche e riti esterni, di natura culturale, sociale e religiosa, che l’accompagnano.  Comunemente in psicologia si identifica talvolta con la parola lutto anche quella serie di forti sentimenti e stati mentali derivati da accadimenti improvvisi, che creano sofferenza e che generano un forte impatto psicologico e/o modifica nella vita della persona che li subisce, come allontanamenti di persone care, o la modifica obbligata di stili di vita significativi (esempio una fine di una relazione, un cambiamento di lavoro). Il lutto corrisponde però all’espressione sia sociale che individuale della perdita da decesso, ha dunque una doppia valenza, individuale e relazionale: modalità individuali di fronteggiare il dolore da separazione per una morte, e dall’altro lo scenario familiare-comunitario che sottopone le reazioni del singolo al confronto con quelle altrui, attingendo agli altri per facilitare il processo. Questo fa capire quanto lo sterile confronto con il grado di sofferenza altrui porti a distinguere un lutto “normale” da uno “patologico”, e paradossalmente quanto invece il confronto con l’altro e gli altri, inteso come condivisione di stati d’animo, raccontarsi, riscrivere insieme la storia, sia d’aiuto per superare, scacciare il senso di solitudine del dolore, riprendendo una linearità alla propria narrazione. La lingua inglese ci aiuta maggiormente ad individuare tutti gli aspetti racchiusi nel processo così ricco e complesso come il lutto, poiché ne utilizza parole diverse. Si parla di Bereavement come situazione oggettiva di perdita, mentre di Grief come reazione alla perdita, che può comportare manifestazioni molteplici di disagio (risposte fisiche, emotive, comportamentali e sociali alla perdita). Il Mourning è il riconoscimento dall’esterno della perdita (elaborazione del lutto) mentre il Grief Work riguarda il confronto emotivo/cognitivo con la perdita, processo di confronto con la realtà della morte; e infine Grieving richiama il con-vivere con la perdita e adattarsi ad essa. Nelle prossime righe sarà data attenzione non tanto agli aspetti di interruzione e disorganizzazione ma a quelli di resilienza, adattamento e ri- organizzazione, quindi maggiormente al Grief Work e al Grieving.

lutto elaborazione

Il lutto in una visione psicologica post-moderna

In linguaggio psicologico si può descrivere elaborazione del lutto quel processo di risanamento e ristrutturazione conseguente alla perdita di un “oggetto significativo” che ha fatto parte integrante dell’esistenza: questo permette di capire meglio l’incommensurabilità, la fatica e la sofferenza intima imponente che può farne seguito. Da Freud, Bowlby e Kübler-Ross, e poi coi successivi studi, fino quasi al termine del XX secolo, il lavoro di elaborazione del lutto, era considerato essenzialmente un dovere e un impegno a lasciar andare (la persona deceduta, la relazione con lei, l’attaccamento nella diade) e a reindirizzare le proprie forze e le proprie risorse verso altri obiettivi, al fine di tornare a una vita normale (Neimeyer, 2001): reinvestire su altri oggetti libidici sostitutivi una volta allontanatisi dalla fissazione su quello perduto. Una visione “performativa” ed economicista di un lutto sottoposto alla sfera dell’utile, che quindi deve essere risolto possibilmente in breve tempo e definitivamente, che sottintende anche una censura della morte ed un’intolleranza verso i sentimenti dolorosi di fronte alla morte e alle perdite in generale (Testoni, 2012). Si tratta di una prospettiva che per altro si sta rivelando non più adatta, o per lo meno insufficiente, date le numerose evidenze empiriche che disconfermano le teorie stadiali del cordoglio, riduzioniste e che si prescrivono come universali e normative.

Una visione alternativa postmoderna pone in primo piano la tendenza umana onnipresente a organizzare l’esperienza in forma narrativa, costruire resoconti che fanno senso delle transizioni preoccupanti nelle nostre vite inserendole in una trama di significato strutturata (Neimeyer & Levitt, 2001). A partire da questa, il lutto -da perdita di persone significative-, altera i processi di auto-narrazione in coloro che sono sopravvissuti e li getta in una continua ricerca di significato della perdita e dei cambiamenti nelle loro vite, in uno sforzo continuo per mantenere una narrativa di sé coerente. Inoltre, le perdite di coloro che sono stati stretti testimoni del nostro passato: partner, genitori, nonni, fratelli o amici di lunga data, possono scuotere come un sisma anche la nostra fondamentale definizione di sé:  da questa prospettiva, l’identità può essere vista come un risultato narrativo, poiché il nostro senso di sé è deliberato attraverso le storie che raccontiamo, le storie che altri raccontano di noi e le storie che rappresentiamo in loro presenza (Neimeyer, 2004).  Domande di ricerca di significato più comuni che vanno dal pratico (Come è morta la persona amata?), attraverso il relazionale (ad esempio-Chi sono io, adesso che non sono più un coniuge?) allo spirituale o esistenziale (Perché Dio permette che ciò accada?). Come e se affrontiamo queste e altre domande, se rispondiamo o semplicemente smettiamo di chiedercele, da forma a come ci adattiamo alla perdita stessa e chi diventiamo alla luce di essa. Sono allora meglio comprensibili le differenze individuali e culturali dopo la morte di una persona cara. Se la ricerca di senso è una chiave per la salute mentale (Frankl, 1992), trovare un senso alla sofferenza è una delle nuove strade di intervento possibili in contesto di lutto.

Ricostruzione dei significati e rinarrazione

Questo punto di vista socio-costruttivista rifornisce la cassetta degli attrezzi clinici di tecniche di intervento nella terapia del lutto. I “compiti” individuali per l’elaborazione del lutto più largamente condivisi sono: l’accettare la realtà della morte, l’elaborare il dolore e la tristezza della perdita, l’inserirsi in un contesto di realtà in cui si rimpiange la persona scomparsa, trovare un posto adeguato per la persona scomparsa nel sistema familiare e continuare a vivere (Worden, 1991). Questi compiti sono accolti in una prospettiva-intervento post-moderna, in linea con l’adattamento alla perdita, ma dando un’attenzione importante alla (ri) narrazione della storia, ri-organizzazione del significato e soprattutto alla ricostruzione di un legame che continua con la persona defunta. L’obiettivo del lutto sta nella ridefinizione della relazione, in modo che possa essere mantenuta simbolicamente, spiritualmente o nella memoria, attraverso la condivisione dei racconti con la famiglia e gli amici e in mille altri modi che permetta un attaccamento al defunto, quale parte vitale della vita del soggetto. Si possono usare tecniche che comprendono il raccontare di nuovo la narrazione della perdita (ri-narrazione), la scrittura terapeutica, l’attenzione al linguaggio e l’uso della metafora, la visualizzazione evocativa e tante altre. A differenza dell’idea che “il tempo guarisce ogni ferita”, come retaggio di vecchi modelli, qui si vuole sostenere che conta ciò che la persona fa con il tempo e nel tempo. Come disse Umberto Galimberti in un’intervista recente -sul tema del ricominciare dopo una sconfitta-, “Non è il caso di riflettere ancora, perché riflettere vuol dire ripiegarsi su sé stessi; se sei già ripiegato dal dolore o dal fallimento non è il caso che ti ripieghi ulteriormente. Perché l’unica salvezza consiste nell’azione. Devi agire”.  E continua sostenendo che il senso della vita consiste nelle cose che si è fatto e che si è in grado di fare. Su questa linea il rito funebre, (sia esso religioso o meno), è qualcosa che si fa, insieme, la prima “cosa” che si fa dopo la perdita della persona: consentendo di affrontare la ricostruzione di un significato progressivamente, immette una finestra temporale più o meno ampia tra l’evento e l’inizio del processo di ri-organizzazione. Ma quel tempo dilatato, non è di per sé cicatrizzante per la ferita: dire è già agire, come sosteneva John Austin dal 1955, ed è infatti da quel che si fa nel tempo che passa, e durante i riti -dicendo insieme, ricordando la persona raccontando la sua vita, instaurando un dialogo col defunto- che si può innescare già un processo di ri-costruzione del legame con la persona che non c’è più nel mentre che si ri-cuce la propria trama di significato da dove sembrava essersi interrotta.  Perché c’è sempre un (ri)inizio in ogni fine, ma lo si costruisce solo e soltanto insieme.

 

Dearca Beatrice

BIBLIOGRAFIA

Austin, J. L. (2019). Come fare cose con le parole: A cura di Carlo Penco e Marina Sbisà. Marietti 1820.

Frankl, V. (2006). Man’s search for meaning. New York: Beacon.

Neimeyer, R. A. (2004a). Fostering posttraumatic growth: A narrative contribution. Psychological Inquiry, 15, 53–59.

Neimeyer, R. A., Prigerson, H. G., & Davies, B. (2002). Mourning and meaning. American Behavioral Scientist46(2), 235-251.

Neimeyer, R. A., Levitt, H., & Snyder, C. (2001). Coping and coherence: A narrative perspective on resilience. Coping with stress: Effective people and processes, 47-67.

Pereira Tercero, R (1998) – Le Deuil: de l’optique individuelle à l’approche familiale -In Deuil et Famille – Cahiers Critiques de Therapie Familiale –Bruxelles DeBoeck and Larcier

Testoni, I. (Ed.). (2012). Dopo la notizia peggiore: elaborazione del morire nella relazione. Piccin.

Worden, J.W. (1991)- Grief counseling and grief therapy – New York – Springer

Ricominciare dopo una sconfitta, intervista a Umberto Galimberti, del 13 novembre 2020 https://youtu.be/bsNzl7cAEuQ

 

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