Conoscere e riconoscere la depressione post-partum

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depressione post-partum

 

Il periodo successivo al parto è un momento molto delicato per le madri, in quanto si ritrovano ad affrontare una condizione per loro nuova e sconosciuta.

È molto frequente, infatti, che nei primi dieci giorni successivi al parto le madri manifestino sintomi lievi di “baby blues”, un disturbo dell’umore transitorio che si stima colpire il 75% delle madri e che si caratterizza per la presenza di irritabilità, crisi di pianto, ansia, stanchezza e labilità emotiva (Fitelson, Kim, Baker & Leight, 2011). Il baby blues non è una vera e propria patologia in quanto è contraddistinto da sintomi di bassa intensità dovuti alla riduzione degli ormoni in seguito al parto. Tali sintomi non includono perdita di piacere, umore depresso persistente o ideazione suicidaria, quindi non compromettono il funzionamento della persona, e tendono a durare 2 o 3 giorni fino a un massimo di 2 settimane.

Nonostante il baby blues sia una condizione comune, transitoria e che si risolve senza particolari interventi, è importante identificarlo e riconoscerlo in quanto costituisce un fattore di rischio per lo sviluppo di una vera e propria depressione post-partum (Pearlstein, Howard, Salisbury & Zlotnick, 2009).

Se i sintomi persistono più a lungo e si presentano con maggiore intensità, infatti, non si parla più di baby blues ma di depressione post-partum, un disturbo molto debilitante per la donna e che interferisce con le attività della vita quotidiana.

Quali i sintomi?

La depressione post partum (Post Partum Depression, PPD) è un disturbo dell’umore definito come un sottotipo di disturbo depressivo maggiore (Mayor Depressive Disorder, MDD) con specificatore di “esordio nel peripartum“, ovvero con insorgenza durante la gravidanza o entro 1 mese dopo il parto (O’Hara, 2009); tuttavia, è stato riscontrato che tale range temporale è eccessivamente limitato e poco veritiero, in quanto la depressione post-partum può comparire anche durante la gravidanza e fino a 3-6 mesi dopo il parto (Pearlstein et al., 2009) o anche un anno dopo (Brummeltea & Galea, 2016; O’Hara, 2009).

I sintomi della depressione post-partum hanno una durata superiore a 2 settimane e compromettono il funzionamento generale della persona (Fitelson et al., 2011, O’Hara, 2009).

La prevalenza di tale patologia varia tra il 10% e il 15% delle donne che partoriscono (Brummeltea & Galea, 2016; Pearlstein et al., 2009) e, sebbene non sia presente una definizione univoca della depressione post-partum e nel DSM V non sia riconosciuta come diagnosi a parte, è comprovato che tale patologia comporti una grande quantità di sofferenza psicologica e sia notevolmente invalidante.

I criteri per la diagnosi clinica sono gli stessi dell’episodio depressivo maggiore ai quali si aggiungono sintomi specifici del post parto.

I sintomi, o segnali d’allarme, per riconoscere la depressione post-partum sono elencati in seguito.

Devono essere presenti 5 o più dei seguenti sintomi, in comune con il disturbo depressivo maggiore, e uno dei sintomi deve essere umore depresso o perdita di interesse:

  • umore depresso o perdita di interesse/piacere nelle attività;
  • perdita o aumento di peso, oppure diminuzione o aumento dell’appetito;
  • insonnia o ipersonnia;
  • agitazione o rallentamento psicomotorio;
  • faticabilità o mancanza di energia;
  • sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi o inappropriati;
  • difficoltà di concentrazione, indecisione;
  • pensieri suicidari.

Inoltre devono essere presenti sintomi specifici del disturbo depressivo maggiore con esordio nel peripartum, quali:

  • labilità dell’umore;
  • sentimenti di inadeguatezza nell’accudimento del bambino;
  • preoccupazioni eccessive per il bambino.

La diagnosi di tale depressione perinatale, però, risulta spesso difficile poiché i cambiamenti nell’appetito e nel sonno e l’eccessiva stanchezza sono assai comuni e tipici per le donne dopo il parto (Pearlstein et al., 2009).

Il momento migliore per lo screening della depressione post-parto è compreso tra 2 settimane e 6 mesi dopo il parto, e lo strumento maggiormente utilizzato e validato per lo screening risulta essere il questionario self-report “Edinburgh Postnatal Depression Scale”, che permette di valutare il rischio di insorgenza dei sintomi (Pearlstein et al., 2009). Se non diagnosticata, la depressione perinatale può influire negativamente anche sulla relazione madre-figlio e portare all’insorgenza di problemi emotivi a lungo termine per entrambi.

Il riconoscimento dei sintomi di depressione post parto, lo screening e la diagnosi precoce sono molto importanti in quanto permettono di intervenire tempestivamente, migliorando gli esiti ed evitando una cronicizzazione dei sintomi (Pearlstein et al., 2009).

In aggiunta ad una diagnosi precoce, è importante fare un’accurata diagnosi differenziale tra la depressione post-partum e le condizioni sintomatologiche ad essa simili che si presentano nel periodo perinatale, quali il baby blues, che, come visto precedentemente, si distingue dalla depressione post parto per la minore intensità e durata dei sintomi, e la psicosi puerperale, che può essere considerata, su continuum di gravità, l’altro estremo del baby blues (Fitelson et al., 2011, O’Hara, 2009). La psicosi post parto è caratterizzata da: un’elevata intensità dei sintomi, quali umore depresso, sbalzi d’umore, pensiero disorganizzato, deliri, allucinazioni, pensieri psicotici, comportamenti disorganizzati, ideazione suicidaria o ideazione omicida verso il bambino; esordio rapido o improvviso (si manifesta solitamente entro le prime 2 settimane dopo il parto, o fino a 3 mesi dopo); necessità di intervenire con l’ospedalizzazione per trattare la patologia (Fitelson et al., 2011, O’Hara, 2009). I suoi sintomi affettivi, come si può notare, risultano coincidere per alcuni aspetti con quelli del disturbo bipolare.

Conoscere i fattori di rischio

Relativamente all’eziopatogenesi della depressione post-parto, la ricerca indica l’ipotesi multifattoriale come la più validata. I fattori considerati di rischio e/o protezione, infatti, sono diversi: biologici, psicologici, ambientali e relazionali (O’Hara, 2009; Pearlstein et al., 2009).

L’individuazione di tali fattori permette alle madri potenzialmente esposte di attuare trattamenti preventivi che impediscano il deterioramento della qualità di vita della donna e del bambino.

Vediamo quali sono questi fattori di rischio.

I fattori biologici sono (Brummelte & Galea, 2016; Ghaedrahmati, Kazemi, Kheirabadi, Ebrahimi & Bahrami, 2017; O’Hara, 2009):

  • Modificazioni dei livelli ormonali di estradiolo, testosterone, progesterone, corticosteroidi, ossitocina e metabolismo del glucosio;
  • Complicazioni mediche durante il travaglio (quali il taglio cesareo d’urgenza, le emorragie, il ricovero in ospedale durante la gravidanza etc.);
  • Insonnia durante la gravidanza.

I fattori psicologici di rischio sono (Brummelte & Galea, 2016; Ghaedrahmati et al., 2017; O’Hara, 2009; O’Hara, 2013):

  • Una storia passata di depressione e di ansia;
  • La presenza di depressione o ansia durante la gravidanza;
  • La presenza di disturbo bipolare;
  • La bassa autostima e la tendenza all’autosvalutazione e alla percezione di essere inadeguata come madre;
  • La storia di violenza sessuale o l’essere vittime di violenza domestica;
  • La giovane età della madre;
  • La presenza di conflitti all’interno della coppia.

Fra i fattori sociali e ambientali di rischio quelli maggiormente rilevanti risultano essere (Brummelte & Galea, 2016; Ghaedrahmati et al., 2017; Misri, Kostaras, Fox & Kostaras, 2000; O’Hara, 2009; O’Hara, 2013):

  • Una cattiva relazione di coppia;
  • Uno scarso supporto sociale e la mancanza di relazioni empatiche;
  • Bassi livelli socioeconomici;
  • Bassi livelli d’istruzione;
  • L’esposizione a eventi stressanti;
  • L’appartenenza a una minoranza etnica.

In aggiunta, è da considerare che anche lo stile di vita assunto dalla madre costituisce un fattore di rischio in grado di predire lo sviluppo o meno di una depressione post partum. Tra i fattori legati allo stile di vita emergono l’alimentazione, la qualità del sonno e l’attività fisica; per quanto riguarda l’alimentazione, ad esempio, è stato osservato che consumare una buona quantità di frutta, verdure, legumi, pesce, latticini ed olio d’oliva può ridurre del 50% la possibilità di soffrire di depressione post partum (Ghaedrahmati et al., 2017).

Quali i trattamenti possibili?

La depressione post partum è una patologia molto debilitante per la madre ma, come abbiamo visto, facendo attenzione ai fattori di rischio è possibile prevenirne lo sviluppo e riconoscendo i segnali d’allarme (o sintomi) è possibile diagnosticare precocemente il disturbo e intervenire tempestivamente evitando il cronicizzarsi della malattia.

Nel caso di diagnosi di depressione post parto i trattamenti disponibili sono diversi, dai trattamenti farmacologici a quello psicologici (Fitelson et al., 2011).

Vediamo brevemente di seguito quelli maggiormente efficaci e diffusi.

  • Antidepressivi: la terapia farmacologica è efficace ma spesso la scelta di tale opzione viene messa in discussione in quanto porta con sé notevoli preoccupazioni relative agli effetti collaterali, all’esposizione del bambino ai farmaci presenti nel latte materno o allo stigma percepito di essere una “madre inadeguata” che ha bisogno dei farmaci per essere una “buona madre” (Fitelson et al., 2011).
  • Trattamenti psicologici: quali la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) che considera i comportamenti e le percezioni legati all’umore e punta alla modifica dei pattern di pensiero negativi e dei comportamenti disfunzionali in modo da ridurre il disagio e migliorare le strategie per farvi fronte; la terapia interpersonale (IPT) che considera la depressione una malattia che si verifica all’interno di un contesto sociale e considera i problemi interpersonali connessi all’umore.
  • Trattamenti psicosociali: incrementare il supporto sociale risulta essere un opzione di trattamento assai efficace per la depressione perinatale (Fitelson et al., 2011), così come la presenza di supporto da parte del partner (Misri et al., 2000) e di peer support, sostegno faccia a faccia, telefonico o via internet.
  • Trattamenti non farmacologici: agopuntura e massaggio, Light therapy, acidi grassi Omega-3, esercizio fisico.

I più scelti risultano essere quelli psicologici, in quanto non comportano complicazioni mediche e sono assai efficaci per la depressione, ma anche quelli psicosociali di supporto e sostegno. L’efficacia dei trattamenti non farmacologici non è ancora stata studiata approfonditamente ma avendo rischi minimi e apportando benefici alla madre e al bambino risultano ugualmente consigliati.

Come abbiamo visto, la depressione post partum comporta una notevole sofferenza per la madre, ma conoscendola e riconoscendola è possibile intervenire e tornare ad una condizione di benessere psicologico.

 

depressione parto

 

Veronica Vannini

 

Bibliografia

Brummelte, S., Galea, L.A. (2016). Postpartum depression: etiology, treatment and consequences for maternal care. Horm Behav; 77:1533–166.

Fitelson, E., Kim, S., Baker, A.S., Leight, K (2010). Treatment of postpartum depression: clinical, psychological and pharmacological options. Int J Womens Health. 3:1–14.

Ghaedrahmati, M., Kazemi, A., Kheirabadi, G., Ebrahimi, A., Bahrami, M. (2017). Postpartum depression risk factors: A narrative review. J Educ Health Promot; 6:60.

Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Quinta edizione, DSM-5, 2014. Milano, Raffaello Cortina.

Misri, S., Kostaras, X., Fox, D., Kostaras, D. (2000). The impact of partner support in the treatment of postpartum depression. Can J Psychiatry. 45(6):554-8.

O’Hara, M.W. (2009). Postpartum depression: what we know. Journal of Clinical Psychology. 65, 12, 1258-1269.

O’Hara, M.W., McCabe, J.E. (2013). Postpartum depression: current status and future directions. Annual Review of Clinical Psychology 9, 379-407.

Pearlstein, T., Howard, M., Salisbury, A., Zlotnick, C. (2009). Postpartum depression. Am. J. Obstet. Gynecol., 200 (4), pp. 357-364.

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