Come trattare i disturbi d’ansia?

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disturbi d'ansia

 

I disturbi d’ansia sono i disturbi psicologici più diffusi e sono associati a un elevato carico di malattia, nonostante questo, nelle cure primarie viene data loro ancora scarsa attenzione. Spesso vengono prescritti farmaci, ma senza una valutazione approfondita del caso e soprattutto considerandoli l’unica strada per risolvere il problema nel lungo termine.

Con questo non si vuole criticare l’utilizzo dei farmaci per il trattamento dei disturbi d’ansia, che sono necessari ed efficaci soprattutto in acuto: ciò che non è corretto è pensare di risolvere la causa del problema solo mediante la loro assunzione.  I disturbi d’ansia devono essere trattati con terapia psicologica, farmacoterapica o una combinazione di entrambi i trattamenti.

La categoria dei disturbi d’ansia ne comprende diversi: disturbo d’ansia generalizzato, disturbo di panico / agorafobia, disturbo d’ansia sociale, fobie specifiche, etc.

Qui di seguito faremo solo cenno al trattamento farmacologico e ci soffermeremo su alcuni trattamenti psicoterapici utilizzati per trattare questi disturbi.

Trattamento farmacologico

I trattamenti farmacologici principali per i pazienti che soffrono di disturbi d’ansia includono gli inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI) e gli inibitori della ricaptazione della noradrenalina (SNRI). Farmaci che per fare effetto hanno bisogno di tempo, quindi prima di considerare se il farmaco sia efficace o meno bisogna aspettare un paio di settimane.

Qualora non si riscontrino benefici sarà il medico a fare le opportune valutazioni e a proporre trattamenti  alternativi. Solitamente se questi tipi di farmaci (SSRI e SNRI) risultano efficaci, dovrebbero essere continuati per un periodo di 9-12 mesi prima di prendere in considerazione la riduzione e l’interruzione. In ogni caso si consiglia sempre di seguire le indicazioni del proprio medico. In alcuni situazioni potrebbero essere prescritte anche le benzodiazepine, ma generalmente se ne sconsiglia l’uso perché potrebbero generare una dipendenza.

Tecniche di esposizione e flooding

disturb d'ansia

 

La maggior parte dei terapeuti utilizza tecniche di esposizione graduale. Questo approccio comporta la costruzione di una gerarchia di esposizione, in cui gli stimoli temuti sono classificati in base alla loro reazione di paura prevista.

Seguendo questo approccio graduale, vengono prima affrontati gli stimoli solo leggermente temuti dal paziente e che non creano un livello di attivazione fisiologica eccessiva, successivamente vengono affrontati gli stimoli che causano un livello di ansia superiore, fino ad arrivare alla situazione maggiormente temuta. Il paziente viene aiutato a gestire la paura per uno stimolo fobico, superando un livello alla volta. Infatti non verranno affrontati gli stimoli successivi fino a quando la paura per il livello precedente non si sarà attenuata.

La tecnica del flooding o tecnica implosiva, è invece una tecnica poco usata, ma che consiste nel mettere il paziente, sin da subito, di fronte agli stimoli maggiormente temuti. L’esposizione può essere immaginativa, in vivo,  o tramite realtà virtuale. Quest’ultima risulta una tecnica molto utile in quanto è più facile per i pazienti immergersi nella loro fobia rispetto alle tecniche immaginative e risulta più tollerante rispetto all’esposizione in vivo, per la quale molti pazienti abbandonano, a causa della troppa paura di affrontare l’oggetto fobico minaccioso. Quindi, seguendo l’approccio graduale di esposizione, la realtà virtuale potrebbe essere utilizzata prima di affrontare l’esposizione in vivo.

Inoltre, la realtà virtuale è facilmente praticabile e l’esposizione si può ripetere anche più volte. Ad esempio nella paura di volare, la realtà virtuale permetterebbe un facile accesso allo stimolo fobico, con la possibilità di ripetere più volte le varie fasi che lo caratterizzano, mentre con l’esposizione in vivo, il terapeuta e il paziente dovrebbero mobilitarsi per raggiungere l’aeroporto, comprare i biglietti e ripetere l’esposizione una sola volta.

Training autogeno

I principi di base del training autogeno sono stati ideati da Shultz all’inizio del XX secolo. Si è concentrato sull’esplorazione delle potenzialità dell’autosuggestione. Il suo obiettivo era quello di trovare un approccio psicoterapeutico efficace che permettesse al paziente di apprendere esercizi di rilassamento, da poter replicare anche in modo autonomo, senza l’aiuto del terapeuta. Di seguito i sei esercizi affrontati nelle sedute di training autogeno:

  • PESANTEZZA: il paziente viene spinto a concentrarsi su varie zone del suo corpo, una per volta, (esempio: testa, spalle, braccia, gambe, piedi, etc.) focalizzandosi su quanto ciascuna di esse sia pesante. Questo esercizio serve per raggiungere uno stato di rilassamento psicofisico, sciogliendo le tensioni muscolari.
  • CALORE: questo esercizio consiste nel far focalizzare il paziente su quanto ciascuna zona del suo corpo sia calda. Anche questo training è utile per indurre uno stato di rilassamento.
  • CUORE: il paziente viene guidato dal terapeuta a focalizzare la sua attenzione sul cuore. Inizialmente il paziente riuscirà più agevolmente ad eseguire l’esercizio in posizione supina e con la mano destra posizionata sul torace nella zona del cuore. L’esercizio è quello di percepire il ritmo del cuore e al contempo immaginarlo calmo e regolare.
  • RESPIRO: questo training ha l’obiettivo di rendere inalterata la funzione respiratoria, di percepirlo calmo e regolare e di effettuare dei respiri pieni.
  • CALORE ADDOMINALE: il plesso solare è una zona che si colloca nella parte sottostante il diaframma e sopra l’ombelico. È una zona complessa in quanto vi si trovano numerosi nervi e gangli del sistema nervoso. Il calore in questa zona avrebbe un effetto calmante sulle attività del sistema nervoso, un miglioramento del sonno e un maggiore rilassamento. Dunque, questo esercizio non ha lo scopo di indurre una percezione di calore solo in alcune aree dell’addome, ma di concentrarsi proprio sul plesso solare che è posto in profondità.
  • FRONTE FREDDA: il paziente viene guidato ad immaginare la sua fronte fresca. Il mantenimento della fronte fresca induce una sensazione di sonnolenza ed è un’esperienza considerata comunemente calmante e gradevole (Schultz & Luthe, 1959).

Prima di poter effettuare questi esercizi in modo autonomo, il paziente deve essere in grado di svolgerli in maniera corretta e questo è possibile solo dopo aver ricevuto un training da un professionista.

Biofeedback

Una delle terapie che mostra efficacia nel trattamento dei disturbi d’ansia è il biofeedback. Il biofeedback è una tecnica di autoregolazione attraverso la quale i pazienti imparano a controllare volontariamente i propri processi fisiologici. Questo trattamento richiede la presenza di strutture apposite e di una figura specializzata. I segnali fisiologici del pazienti vengono tenuti sotto osservazione, mentre vengono ricevuti determinati segnali dall’esterno.

Il paziente, attraverso il feedback del macchinario, impara a regolare i propri processi fisiologici per mantenerli ad un livello adeguato di attivazione. Viene inizialmente educato in cosa consiste il trattamento, spiegandogli cosa misurerà ciascun sensore e come i segnali visualizzati sul monitor si riferiscono a quello che sta accadendo alla loro reattività fisiologica. Ai pazienti viene mostrato come la loro fisiologia sia reattiva agli stimoli mentali e i valori ottimali che si dovrebbero raggiungere per migliorare la salute dell’individuo. Quindi il paziente capirà come reagire agli stimoli ansiogeni per mantenere i valori fisiologici ad un certo livello.

Mindfulness

La mindfulness è una tecnica che riscontra successo nel trattamento dei disturbi d’ansia, in particolare per il disturbo d’ansia generalizzato in cui l’individuo è costantemente pervaso da pensieri riguardanti il passato e il futuro, attivando il pilota automatico del nostro cervello.

La mindfulness mira a far porre l’attenzione e la consapevolezza nel momento presente, invitando il paziente a prestare attenzione alle sensazioni corporee, alle reazioni emotive e alle immagini mentali, senza giudizio. È necessario adottare un atteggiamento di apertura e curiosità verso l’esperienza provata. Questo atteggiamento è fondamentale perché permette di abituare il soggetto a vivere l’esperienza presente, a focalizzarsi sul qui ed ora. Le tecniche di meditazione mindfulness aiutano le persona a sviluppare una posizione di osservazione distaccata verso i contenuti della coscienza e può essere un’utile strategia di coping cognitivo comportamentale. Si può sottolineare una relazione bidirezionale tra mindfulness e disturbo d’ansia generalizzato, in quanto la preoccupazione può essere dovuta alla diminuzione sia della consapevolezza del momento presente che dell’accettazione del momento stesso. Ciò rafforzerebbe i sintomi del disturbo.

Michela Di Giacomo

Bibliografia

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Sandhu, J.S., Paul, M., & Agnihotri, H. (2007). Biofeedback Approach in The Treatment of Generalized Anxiety Disorder. Iranian Journal of Psychiatry, 2, 90-95.

Schultz, J. H., & Luthe, W. (1959). Autogenic Training: A Physiological Approach in Psychotherapy. New York: Grune & Stratton.

Stein MB, Craske MG. Treating Anxiety in 2017: Optimizing Care to Improve Outcomes. JAMA. 2017;318(3):235–236. doi:10.1001/jama.2017.6996

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