Cosa accade a una donna in gravidanza?

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La gravidanza e la nascita di un figlio rappresentano esperienze significative ed importanti nella vita delle donne, che danno inizio ad un percorso che porta con sé una moltitudine di emozioni, trasformazioni e cambiamenti che coinvolgono aree differenti, da quella fisica a quella psichica.

Il concetto di gravidanza è indissolubilmente legato a quello di genitorialità ovvero il processo psichico attraverso il quale una donna e un uomo divengono genitori, sperimentando quella trasformazione che conduce ad assumere un particolare ruolo, con tutte le responsabilità che esso comporta, e uno status che perdureranno per tutto l’arco di vita (Bornstein & Venuti, 2013).

Una donna, al momento della nascita del figlio, non solo dà origine ad una nuova vita ma anche ad una nuova identità: la madre. La nascita dell’assetto materno non avviene in un momento specifico, bensì si sviluppa in modo graduale lungo i mesi che precedono e seguono il parto, permettendole, così, poco a poco, di familiarizzare con un campo dell’esperienza prima sconosciuto. L’assetto materno, quindi, si fa spazio prepotentemente all’interno della “vita mentale preesistente”, occupandone l’area centrale e promuovendo la creazione di una nuova organizzazione che condizionerà e permarrà in contemporanea a quella precedente. Tale nuova identità inizia a manifestarsi durante la gestazione per poi essere messa a fuoco nel post partum.

Stern, psichiatra e psicanalista statunitense, ne “La nascita di una madre” (1998) identifica tre fasi secondo le quali si articola il processo di creazione di questa nuova organizzazione ed identità. La gravidanza rappresenta la prima, per ordine ed importanza, in quanto essa è fondamentale e funzionale alla preparazione della donna alla maternità imminente, sia attraverso le trasformazioni del corpo che permettono lo sviluppo del feto sia grazie alle rielaborazioni mentali di questa nuova identità. La seconda fase, ovvero il parto, permette l’originarsi della “madre fisica” ma non ancora di quella psicologica che si compie solo con la terza fase, che comprende tutte le cure fornite al neonato per il suo sviluppo quali il nutrirlo e l’accudirlo nei mesi successivi alla nascita.

La gravidanza

I nove mesi che precedono il parto comportano, soprattutto per la gestante, ampie trasformazioni che coinvolgono tanto il fisico quanto la componente emotiva e psichica.

Daniel Stern introduce il concetto di “costellazione materna” (Stern, 2007) definendolo come una condizione psichica raggiunta dalla donna durante la gravidanza, soprattutto nella prima esperienza, che si mantiene, all’incirca, per il primo anno di vita del bambino. È un organizzatore psichico, una costruzione mentale intrapsichica, che fa sì che si formi un nuovo insieme di fantasie, azioni, desideri, paure, tendenze, sensibilità, ricordi e idee sui propri adulti di riferimento e le loro cure e che acquisisce il ruolo centrale e predominante che fino a quel momento spettava alle precedenti organizzazioni (Tambelli, 2017). Nello specifico, la costellazione materna comprende molteplici componenti.

La prima riguarda il passato e promuove una riattivazione dell’immagine di se stessa come bambina e, di conseguenza, delle cure e della protezione ricevute. Questo aspetto, dal punto di vista clinico, risulta centrale poiché il ricordo della propria esperienza da figlia fa in modo che si tenda a riattualizzare i modelli che sono stati sperimentati. Ciò comporta che, nel caso di un’esperienza infantile particolarmente difficile e/o traumatica, si riattivino ricordi spiacevoli e dolorosi, che inevitabilmente influenzeranno i modelli genitoriali che verranno adottati con il nascituro. Un’altra componente, sebbene strettamente collegata alla prima, concerne il presente e la percezione che la donna ha di sé come madre e come donna. A questa si aggiunge la componente che comprende le percezioni che si hanno degli altri, in particolare del partner. Nel momento in cui una coppia assume la decisione di avere un figlio, la funzione genitoriale e la funzione coniugale si distinguono, alternando momenti di equilibrio tra le due e momenti di prevalenza di una funzione sull’altra. Con il termine “funzione genitoriale” si definisce la capacità di prendersi cura di un altro all’infuori di sé. Al contrario di ciò che verrebbe naturale pensare, questa funzione non è relata all’idea di essere genitori bensì all’idea di essere stati figli e di essersi sentiti curati e accuditi. Altra componente concerne la proiezione dei desideri genitoriali sul nascituro che generalmente comprendono fantasie e idee sulle caratteristiche che il bambino potrebbe, o dovrebbe, possedere. Queste aspettative vengono naturalmente deluse alla nascita, nel momento dell’incontro con il bambino reale, il che comporta un vero e proprio lutto nei confronti del bambino ideale. Questo passaggio richiede uno sforzo e una rinuncia alla tendenza al confronto tra l’ideale e la realtà. Se le aspettative dei genitori sono proiezioni narcisistiche di se stessi, e di conseguenza estremamente rigide, è probabile che ciò intacchi la creazione e la costruzione della relazione con il bambino, poiché permarrà la tendenza a cercare di far coincidere la costellazione dei pensieri e delle fantasie con la realtà (Stern, 2007; Tambelli, 2017; Pazzagli et al., 2017). Con la crescita e il passare del tempo i genitori sono chiamati ad accettare i figli come separati da loro e con una propria individualità.

Riassumendo, lo psicoanalista Stern parla di “costellazione materna” indicando, così, lo stato psicologico transitorio della donna che diventa madre e che le consente di prepararsi adeguatamente all’arrivo del proprio figlio, creandogli uno spazio nella propria mente.

Lo stesso autore paragona questo periodo della vita di una donna all’adolescenza, in quanto entrambi caratterizzati da trasformazioni e alterazioni del proprio corpo e della propria identità. La donna in gravidanza, però, ha a disposizione solamente sette mesi (in questo processo i primi due non possono essere presi in considerazione poiché la donna non è generalmente cosciente del suo stato) per adattarsi a questi mutamenti, anziché anni come per l’adolescente, senza contare che l’adolescenza è uno stadio dello sviluppo da considerarsi inevitabile e raggiunto gradualmente, mentre la gravidanza può essere una scelta quanto un qualcosa di inatteso, indesiderato o semplicemente imprevisto.

“La gravidanza, il parto e il dopo parto sono per molte donne un periodo coinvolgente, appassionante e gratificante, ma anche un momento di vissuti ansiosi e di preoccupazioni” (Grussu & Bramante, 2016, p. 47). A tal proposito, la psichiatra e psicanalista francese Monique Bydlowski, esperta in perinatalità, introduce il concetto di “trasparenza psichica” (Bydlowski, 1997) facendo riferimento all’allentamento delle difese psicologiche e al maggiore contatto con le parti più profonde della loro psiche e con il corpo sperimentato dalle donne che attraversano una gravidanza. Infatti, tendenzialmente si registra un aumento dell’ansia nel primo e terzo trimestre da considerarsi non patologica in quanto, nel primo caso, funzionale all’adattamento alla gravidanza e alle prospettive di cambiamento che essa comporta e, nel secondo, alla preparazione all’accudimento andando a costituire quella che D. W. Winnicott (2017) definisce “preoccupazione materna primaria”. La parola ‘preoccupazione’ deriva dal latino praeoccupare ovvero occuparsi prima. In questo senso si parla di ansia funzionale alla preparazione dell’arrivo di un neonato. Winnicott, con questo termine, intende descrivere lo stato che caratterizza le donne nelle ultime settimane di gravidanza e nell’immediato post-parto, contraddistinto da un’elevata sensibilità e attenzione verso il proprio stato e successivamente verso il figlio. Le preoccupazioni materne hanno lo scopo di porre il neonato al centro del pensiero della donna, garantendogli così cura e protezione.

La gestante proverà, inoltre, un interesse nuovo nei confronti delle altre donne e in particolare nei confronti della propria madre, vivendo in questa tappa della vita anche la significativa transizione dall’essere figlia all’essere madre. Questo cambiamento nella donna si riflette a livello familiare e sociale: l’arrivo di una nuova generazione porta con sé anche l’assunzione di ruoli nuovi tra i membri della famiglia e nella società. La donna, in questo turbinio di novità e scoperte, si trova così investita di sguardi e gesti nuovi su di lei e di aspettative differenti rispetto a prima.

Anche il cervello si modifica?

Come anticipato, i nove mesi di gestazione rappresentano un periodo di grandi trasformazioni, psicologiche e non, tra le quali si annoverano sensazioni corporee amplificate, accentuata emotività, minore memoria, difficoltà di concentrazione, maggiore sensibilità all’ambiente e agli stimoli circostanti, pensieri e ricordi nuovi e ricorrenti. Molti dei cambiamenti riscontrati in questa delicata fase della vita vanno di pari passo con modificazioni non solo a livello endocrino ma anche a carico delle strutture cerebrali.

Uno studio prospettico, condotto da Hoekzema e colleghi (Hoekzema et al., 2017), si è proposto di indagare i cambiamenti strutturali e funzionali osservabili durante la gravidanza nel cervello di alcune donne primipare messe a confronto con un gruppo di controllo formato da donne nullipare e uomini con e senza figli. Dalle immagini delle risonanze magnetiche effettuate nel periodo precedente alla gravidanza, durante la stessa e dopo il parto, sono emerse significative riduzioni del volume di materia grigia, nella fase gestazionale, localizzate nelle aree associative della corteccia cerebrale che svolgono “un ruolo chiave nei processi sociali. In effetti, il modello osservato dei cambiamenti morfologici mostra una notevole somiglianza con il network della teoria della mente (Hoekzema et al., 2017, p. 294).

La Teoria della Mente (Theory of Mind – ToM) è un processo cognitivo che permette di inferire lo stato mentale altrui; la capacità di mentalizzare, ovvero di teorizzare le credenze, le intenzioni, i desideri e i bisogni dell’altro, consente di comprenderne e anticipare il comportamento (Premack & Woodruff, 1978).

Sulla base di ciò che emerge dallo studio di Hoekzema e colleghi (2017) è possibile supporre che, durante la gravidanza, il cervello venga sottoposto a un’ulteriore “specializzazione della rete neurale a servizio della cognizione sociale […]. Pochissimi studi hanno indagato gli effetti della gravidanza sulla cognizione sociale, ma vi sono indicazioni preliminari sull’elaborazione facilitata delle informazioni sociali nelle gestanti” (p. 294), come, ad esempio, il riconoscimento dei volti e l’amplificazione delle emozioni (Anderson & Rutherford, 2011; Anderson & Rutherford, 2012; Pearson et al., 2009). I cambiamenti riscontrati sembrano, quindi, funzionali alla preparazione all’imminente maternità, al riconoscimento e all’interpretazione dei bisogni del nascituro incapace di comunicarli verbalmente, all’individuazione di segnali di potenziali minacce e alla creazione di un legame di attaccamento.

Sulla base di queste ipotesi, Hoekzema e colleghi (2017) hanno messo in relazione i mutamenti strutturali cerebrali precedentemente osservati con le tre scale della Maternal Postnatal Attachment Scale (MPAS) (Condon & Corkindale, 1998), ovvero il piacere nella relazione, l’assenza di ostilità e la qualità dell’attaccamento, dimostrando che “i cambiamenti di volume della materia grigia della gravidanza predicevano significativamente la qualità dell’attaccamento madre-bambino e l’assenza di ostilità nei confronti del neonato nel periodo post-partum” (Hoekzema et al., 2017). Infine, dal medesimo studio è emersa una particolare attivazione neurale nelle aree cerebrali in cui è stata riscontrata una diminuzione di materia grigia quando, nel post-partum, venivano mostrate alle donne le fotografie dei loro bambini. Queste evidenze supportano l’idea che durante la gravidanza avvenga un perfezionamento delle strutture cerebrali deputate alla cognizione sociale di tipo adattivo che promuove, avvantaggiandola, la transizione alla maternità.

Sulla base di queste ipotesi preliminari Hoekzema e colleghi hanno condotto un ulteriore studio prospettico (Hoekzema et al., 2020) col fine di indagare, con maggiore precisione, le strutture cerebrali coinvolte da questi cambiamenti e il loro scopo adattivo nella donna.

Il caregiving materno viene attivato e motivato da stimoli provenienti dalla prole che assumono, così, un importante valore di rinforzo. Nel recente studio di Hoekzema e colleghi (2020), sono state rilevate nelle donne gravide, a differenza delle donne nullipare, delle riduzioni nello striato ventrale (VStr) destro e una tendenza alla diminuzione per quanto riguarda il VStr sinistro. Inoltre, una maggiore riduzione del VStr risultava essere associata ad una più forte attivazione funzionale della medesima area in risposta agli stimoli dei neonati nel post partum.

Secondo Hoekzema e colleghi (2020), quindi, “questi risultati forniscono le prime indicazioni che la transizione alla maternità produce adattamenti anatomici nel VStr che promuovono la forte reattività del circuito di ricompensa di una madre ai segnali del suo bambino”.

Altro aspetto interessante da approfondire concerne il fatto che molte donne, durante la gravidanza, riportano difficoltà di concentrazione e di memoria, dimostrando, quindi, un funzionamento cognitivo ridotto. Nella meta-analisi condotta da Davies e colleghi (2018) si trova riscontro di questi deficit propri della fase gestazionale. Ne scaturisce, infatti, che “il funzionamento cognitivo generale, la memoria e le prestazioni delle funzioni esecutive […] sono significativamente inferiori rispetto alle donne non in gravidanza” e, nello specifico, che “la capacità di memoria […] sembra diminuire tra il primo e il secondo trimestre” (Davies et al., 2018, p.39), coerentemente con le riduzioni a lungo termine del volume della materia grigia cerebrale emersi dallo studio di Hoekzema e colleghi (2017).

Francesca Diquattro

Bibliografia

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Tambelli, R. (2017). Manuale di psicopatologia dello Sviluppo. Il Mulino.

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