Mindful Eating oggi

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Sviluppare un’alimentazione consapevole tra deprivazione calorica e grassofobia

Quando si inizia una dieta, la prima cosa che perdi è l’umore. (Anonimo)

Abstract

Ti stai per caso rimproverando al pensiero di aver mangiato panettoni, frittelle e crostoli? Stai già pensando a cosa fare per non “minacciare” la prova costume? Questi ed altri pensieri negativi, insorgono successivamente ai periodi di festività, perché mangiare di più durante il periodo di Natale e Capodanno è una pratica diffusa che può essere difficile da modificare. Vari fattori contribuiscono ai cambiamenti nella dieta durante le vacanze, comprese le norme sociali, gli incontri con i propri cari, lo stato emotivo ecc.

Se, leggendo queste righe hai pensato “sono io!”, allora sei nell’articolo giusto.

Con questo articolo vogliamo riflettere su quelle che sono le componenti culturali odierne sull’alimentazione, i fattori che ne influenzano la percezione, come ad esempio i social media e l’ ”all you can eat” solo per citarne alcuni. È utile poi mettere in luce come imporsi una dieta fortemente restrittiva compensativa e/o farsi guidare dall’affettività negativa (come sentimenti di rabbia, paura o vergogna), possa in modo contrario portare sempre più verso disturbi alimentari come il binge eating, la bulimia, o ancora a stati depressivi. Ciò che invece suggeriamo è di avvicinarsi ed intraprendere quella che definiamo “Mindful Eating”, ovvero “alimentazione consapevole”, una pratica basata sul buddismo Zen, diventata popolare come metodo per calmarsi e per modificare i comportamenti alimentari. Utilizzare questa pratica, consentirebbe il raggiungimento ed il mantenimento del benessere attraverso il godimento del cibo utilizzando tutti i sensi senza giudizio.

Parole chiave: DCA, mangiare, mindful eating, benessere.

Perché ci piace mangiare insieme?

Si sa, i momenti di convivialità caratterizzano le festività. Infatti, i pasti sono più piacevoli se consumati in compagnia (Abulan et al., 2023). Se pensiamo alla cena di Natale, il ricongiungimento della famiglia, la celebrazione del cibo, l’odore e l’attrazione della casa, della stanza e della tavola intorno a sé, attivano tutti i nostri sensi rendendoci propensi ad un consumo di cibi maggiore. Le persone consumano porzioni più grandi durante questi eventi e ciò è stato dimostrato attraverso l’idea che è più probabile che uno stato d’animo positivo venga segnalato durante un’occasione di social eating. Il pasto di Natale prevede alimenti positivi e, pertanto, è probabile che le persone consumino quantità maggiori di cibo. Infatti, il processo dell’appetito è influenzato dalla guida sociale attraverso la distrazione. Studi dimostrano che mangiare mentre si è distratti, come impegnarsi in un ambiente sociale o guardare la televisione, induce le persone ad assumere maggiori quantità di cibo rispetto al mangiare senza distrazione alcuna. L’uomo, inoltre, tende ad adattare l’assunzione di cibo, allineandola alle norme percepite per trasmettere un’immagine positiva di sé agli altri e questo processo è riconosciuto come “facilitazione sociale del mangiare”, ovvero l’aumento dell’assunzione di cibo in presenza di co-mangiatori (John de Castro, 2023).

Per questi e per altri motivi le nostre abitudini alimentari cambiano fortemente durante le festività e spesso ci si ritrova all’anno nuovo con qualche numero in più sulla bilancia e con dei propositi restrittivi relativi a diete e programmi di attività fisica. Spesso, infatti, con la fine delle feste si riscontra non solo un abbassamento del tono dell’umore ma anche emozioni negative dipendenti dai cambiamenti del proprio fisico. Spesso è proprio l’esperienza di emozioni spiacevoli una delle principali motivazioni che portano a mangiare maggiormente e di conseguenza a disturbi alimentari. Placare un’emozione negativa richiede una buona capacità regolatoria e il discontrollo emotivo può essere un fattore esacerbante dei DCA. Per esempio, pazienti con anoressia e bulimia nervosa dichiarano maggiori difficoltà nella regolazione delle emozioni rispetto a controlli sani. Vediamo meglio nel dettaglio quali sono gli elementi e gli altri aspetti che entrano in gioco.

Aspetti culturali dell’alimentazione e del corpo

Certamente, è importante ricordarsi che non viviamo in un vuoto sociale, ma che “ogni corpo è costituito innanzitutto e soprattutto dalla cultura” (Bordo, 2003) e che, per un tale motivo, il sociale riveste un ruolo rilevante nella definizione di canoni estetici e nella creazione di atteggiamenti e credenze. Questo coinvolgimento del sociale nella definizione del corpo è, tuttavia, un’arma a doppio taglio. Se da un lato ci permette di ricercare dei modelli, riconoscerci in dei corpi e apprezzarne la varietà, dall’altra veicola degli atteggiamenti che possono incidere in modo negativo sulla vita degli individui, con delle conseguenze dirette sperimentate spesso da chi più utilizza social media e internet e che più facilmente ne è influenzabile: bambini/e e ragazzi/e.

Il social, infatti, è diventato un nuovo mondo, con le sue regole e i suoi schemi, e riflette i costrutti sociali delle culture e le norme della società. L’ideale di magrezza promosso dai media, dall’ambiente e dai coetanei è diventato un nuovo standard di riferimento negli ultimi 30 anni e l’insoddisfazione corporea è un fattore di rischio per lo sviluppo di disturbi alimentari come l’anoressia nervosa. La pressione sociale sull’aspetto fisico è considerata un fattore determinante nello sviluppo di tali disturbi. È stato dimostrato che l’uso di contenuti pro-ED (eating disorders) sui social media è un fattore di rischio e un indicatore per sintomi di disturbi della nutrizione e dell’alimentazione e abbassamento dell’autostima, con sentimento di vergogna. Una pratica poi spesso correlata a ciò è il body shaming (BS), consistente in critiche, prese in giro e commenti negativi riguardanti il corpo di una persona-bersaglio, non solo nel mondo reale, ma molto di questo avviene sui social media. Questi commenti si focalizzano sui presunti difetti fisici o imperfezioni della persona, creando una percezione dicotomica del proprio corpo come “buono” o “cattivo”, con conseguenze negative sull’autostima, l’insoddisfazione corporea e i sintomi depressivi. L’adolescenza è un periodo particolarmente vulnerabile al BS, soprattutto a causa dell’uso crescente dei social media, che potrebbero aumentare le preoccupazioni legate all’immagine corporea. L’eccessiva focalizzazione sulla forma del corpo ideale può generare sentimenti di rabbia, vergogna e ansia, con conseguenze anche sui disturbi alimentari. Il BS può inoltre concorrere all’insorgenza di disturbi depressivi, bassa autostima, autolesionismo, disturbo da dismorfismo corporeo, disturbi dell’alimentazione e disturbi dell’umore, ruminazione e disturbi ansiosi (Capozzi et al., 2023).

Un’ulteriore paura del ventunesimo secolo (oltre a quella della disconnessione), è la “paura del grasso”. Con il termine “grassofobia” si fa riferimento ad una serie di atteggiamenti negativi e agli stereotipi nei confronti delle persone in sovrappeso e in condizione di obesità. Pur essendo un atteggiamento che esiste da molto tempo, nella attuale società globalizzata e consumista, l’obesità diventa simbolo di oppressione, di malessere e spesso acquisisce un significato diverso e più totalizzante: riflette una propria debolezza morale. Ciò dipende da diversi fattori. Innanzitutto oggi l’individuo è socialmente designato come responsabile del proprio benessere o malessere del proprio corpo, così il grasso corporeo acquisisce una debolezza morale. Come risultante, l’obesità trova spiegazione nella mancanza di volontà, di autocontrollo e di disciplina, in intrinseche ragioni psicologiche e in comportamenti quali mancanza di esercizio fisico ed eccessiva assunzione di cibo. Il corpo sodo, magro e snello è diventato, al contrario, indice di atteggiamenti corretti, di valori apprezzabili e di forza di volontà. Questi messaggi sono veicolati anche dai social, sui quali proliferano foto di corpi magri e tonici, consigli su diete e restrizioni caloriche, selfie e modelli di esercizio fisico per la perdita di peso e i giovani adulti, spesso, si imbattono in queste pubblicità e ne vengono fortemente influenzati. Confrontare il proprio aspetto fisico con quello visto sui social porta di frequente a una spinta alla magrezza e, in alcuni casi, anche a disordini alimentari.

La questione purtroppo appare molto complessa. Infatti, se da un lato le campagne di marketing delle industrie alimentari tendono a sfruttare la vulnerabilità dei giovani, cercando spesso di vendere un’illusione di salute e bellezza, dall’altra la società si muove nella direzione consumistica ed eccedente dei “Buffet All You Can Eat ” (BAYCE). Queste formule costituiscono una forma di esperienza di cibo che include il mangiare fuori casa ed essere esposti ad ingenti quantità di cibo. Aderire a queste formule di condivisione sociale permette di fare esperienza di convivialità e di momenti piacevoli ma, d’altra parte, veicola comportamenti alimentari disfunzionali, quali far seguire a questi momenti di abbuffata, giornate di diete rigide e comportamenti alimentari di deprivazione calorica per tornare a riconoscersi in quei “social body” culturalmente apprezzati.

Modelli di deprivazione calorica e diete

Apprezziamo il nostro corpo? Quanto corrisponde ai nostri desideri? Molte persone a causa delle componenti socio-culturali che intervengono quotidianamente citate sopra, fanno molta fatica ad accettare e convivere con il proprio aspetto.

Ci si interroga allora su cosa fare per perdere peso. Ovviamente il primo pensiero è: mettersi a dieta. Esistono diete di ogni tipo: diete a base di frutta e verdura, a base di proteine, a base di gelato, o a base di pizza. Il principio base dei modelli di deprivazione calorica è però pressappoco lo stesso, cioè quello di diminuire l’importo calorico ingerito durante il giorno, in modo che le calorie consumate siano di più di quelle assorbite. Sembrerebbe un semplice ragionamento lineare, se non fosse che il nostro corpo funziona in base a meccanismi ben più complessi, che rendono il risultato frutto di numerose variabili, tra cui il momento della giornata in cui ci si nutre di determinati cibi, il tipo di metabolismo del nostro corpo, che è influenzato da variabili psicologiche e nutrizionali), la quantità di movimento fisico, e molto altro ancora.

Affidandosi esclusivamente ad un semplice calcolo numerico di calorie, si va in contro molte volte a circoli viziosi assolutamente distruttivi (Rossi et al., 2014).

Tra i comportamenti più ‘insani‘ di controllo del peso, quelli maggiormente correlati allo sviluppo di un disturbo alimentare, a distanza di qualche mese, sono: digiunare, assumere sostituti nutritivi dei pasti (ad esempio, bevande o pillole vitaminiche), saltare i pasti, fumare più sigarette nella speranza di dimagrire, fino ad arrivare al vomito autoindotto o all’utilizzo di lassativi o diuretici.

Tali comportamenti sono associati sia allo sviluppo di un disturbo alimentare basato sulla perdita di controllo e le conseguenti abbuffate (Bulimia o Binge Eating Disorder) sia allo sviluppo di comportamenti di controllo estremo del peso, che strutturandosi e cristallizzandosi possono portare all’Anoressia (Crivellaro, 2016).

Cosa si intende per Disturbo Alimentare?

Ma cosa intendiamo per disturbo alimentare? Il DSM descrive i disturbi della nutrizione e dell’alimentazione come quei disturbi caratterizzati da un persistente disturbo dell’alimentazione oppure da comportamenti inerenti l’alimentazione che hanno come risultato un alterato consumo o assorbimento di cibo e che compromettono la salute fisica o il funzionamento psicosociale (APA, 2013).

Tale disturbo si manifesta sotto diverse forme: pica, disturbo da ruminazione, disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione del cibo, anoressia nervosa, bulimia nervosa, disturbo da binge-eating. I primi tre riguardano la nutrizione, in quanto correlati all’incapacità di mangiare una varietà sufficiente di alimenti per mantenere un buono stato nutrizionale. I restanti tre invece si focalizzano sull’immagine corporea e sul

controllo. Nel caso dell’Anoressia ad esempio, la persona è impegnata nella perdita di un (supposto) eccessivo peso corporeo, tramite la restrizione alimentare. La persona ha iniziato qualche mese prima la dieta, e si è accorto/a di essere in grado di mantenerla. La dieta è stata di successo; la bilancia ha confermato la bravura dell’aspirante asceta nel rispettare le regole (fornite da un esperto, autoimposte o reperite su Internet). Accade però un fenomeno peculiare; se il peso diminuisce per la bilancia, non lo fa altrettanto per gli occhi, che continuano a percepire grasso, molto grasso, troppo grasso. Aggiungiamo un dato: le classiche diete ipocaloriche provocano sì una diminuzione ponderale, ma l’effetto si attenua dopo un paio di mesi; il peso non cala più, e anche ciò che è stato perso era costituito soprattutto da acqua e muscoli (Rossi et al., 2014)

Una volta compreso cosa sono i DCA, è necessario comprendere le componenti che ne favoriscono l’insorgenza e infine ragionare attentamente su quelli che possono essere gli strumenti a disposizione per aiutare e promuovere il benessere nelle persone, che sia a livello curativo o preventivo.

Come insorgono i DCA?

Ma da dove nascono? Come si insinuano nella vita degli individui?

Oggi si ritiene che i DCA siano la conseguenza dell’interazione tra più cause: genetiche, biologiche, individuali, familiari e socio-culturali. Inoltre i DCA sono fortemente influenzati da alcuni fattori, predisponenti o favorenti, e di mantenimento responsabili del persistere dei DCA.

Ciò che è di fondamentale importanza è ricordare che una volta che i DCA sono innescati è difficile abbandonarli. Sono infatti strettamente concatenati l’uno all’altro, e la risoluzione dei sintomi richiede l’interruzione della catena al suo primo anello: la restrizione alimentare. Il circolo è il seguente: la restrizione, comportamento ritenuto altamente desiderabile e sintomo d’avvio, porta all’abbuffata, l’abbuffata all’eliminazione e poi di nuovo alla restrizione, chiudendo il cerchio. La paura di ingrassare tiene incollati a questi comportamenti.

Questi circoli comportamentali viziosi, le alterazioni della fame e della sazietà, il gonfiore addominale (causato dalle perdite di sali minerali e/o dalla malnutrizione, o dall’abuso di diuretici o lassativi, etc.), vissuto come segno di aumento di peso, i pensieri e le emozioni negative che accompagnano le abbuffate o le eliminazioni, contribuiscono ulteriormente a bloccare la ripresa di un’alimentazione normale anche quando i fattori favorenti e scatenanti si siano modificati o risolti. Il desiderio di controllare il corpo prevale su tutto (Cannata & Situlin, 2013). Intervengono poi ulteriori aspetti fondamentali come l’autocritica e la vergogna. Gli individui con DCA spesso sperimentano vergogna per il proprio aspetto, per il proprio peso, per il senso di inadeguatezza e inferiorità, sensi di colpa, fino ad arrivare a provare odio per se stessi.

Tutto questo mette fortemente in evidenza come l’alimentazione sia un aspetto di vita quotidiano che tiene conto di molteplici fattori. Entrano in gioco fattori contestuali- relazionali, problemi di attaccamento in età evolutiva, difficoltà di auto-regolazione e bassi livelli di intelligenza emotiva, o ancora carenze nella consapevolezza dell’enterocezione.

Tutti questi aspetti dunque richiedono la necessità di un intervento, individuando delle tecniche per tollerare, alleviare ed integrare alcuni aspetti di sè dolorosi, che portano la persona ad uno stato di profonda sofferenza. Ma come fare?

La mindfulness come approccio nei DCA

Nel parlare dei disturbi dell’alimentazione abbiamo menzionato fattori genetici, biologici, individuali, familiari e socio-culturali. In particolare, tra gli aspetti individuali, la scienza riconosce le emozioni spiacevoli come fattore primario nello sviluppo di un DCA: per questo motivo, uno dei modi per affrontarlo è utilizzare la Mindfulness, utile sia nella vita di tutti i giorni ma anche e soprattutto per trattare disturbi psicopatologici. Ma partiamo dall’inizio, che cos’è la Mindfulness?

Secondo Jon Kabat-Zinn mindfulness significa “prestare attenzione in un modo particolare: con intenzione, nel momento presente ed in modo non giudicante”.

Proviamo a pensare alla nostra giornata tipo: ci svegliamo, ci alziamo, facciamo colazione, ci laviamo, ci prepariamo per uscire e così via: facciamo tutto in modalità pilota automatico. La frenesia del mondo di oggi ci porta infatti a dover fare moltissimi compiti nello stesso momento, e per questo motivo, per una questione di economia mentale, è necessario distribuire la nostra concentrazione, la nostra “presenza mentale”, in modo tale da conservarla per alcune attività e tralasciarla in altre, come ad esempio durante i pasti. Distinguiamo un mangiare automatico, cioè in modo rapido, distratto, inconsapevole ed un mangiare consapevole, cioè ponendo attenzione a quello che sto facendo in quel momento, assaporando attraverso i sensi la quantità di cibo che ingeriamo, che tipo di fame ho, stimoli e sensazioni del mio corpo.

Ciò che spesso accade infatti, è che mentre mangiamo non siamo davvero presenti, non siamo pienamente consapevoli di ciò che stiamo facendo: ad esempio, finiamo tutto il cibo nel piatto, perchè così ci hanno insegnato da bambini. Riflettiamoci per un istante: quando mangiamo, quante altre cose facciamo?

A pensarci bene, tantissime: dal guardare la tv al parlare con i commensali. C’è bisogno dunque di cercare di dedicarsi completamente al fatto che stiamo mangiando. Per la mindfulness infatti il problema non è la mancanza di disciplina, non è la mancanza di motivazione: prima di tutto è mancanza di consapevolezza. Il problema è che se non siamo presenti nel momento in cui siamo a tavola non possiamo distinguere i segnali che il nostro corpo ci dà per indicarci che siamo già sazi.Si tratta quindi di un approccio che si basa sull’idea di gustare il cibo con tutti i sensi, ascoltando i segnali che ci dà il nostro corpo.

Per essere presenti e consapevoli momento per momento secondo Shapiro sono necessari 3 elementi presenti contemporaneamente:

  1. Intenzione, intesa come intenzione di essere presenti;
  2. Attenzione, prestando attenzione a segnali esterni e interni al nostro corpo;
  3. Attitudine, essendo gentili e non giudicanti nei confronti di sé stessi.

Ma se non siamo presenti, allora dove siamo?

Secondo gli studiosi la maggior parte del nostro tempo viviamo in una modalità chiamata di default in cui ci perdiamo nei nostri pensieri, rimuginiamo sul passato, o viviamo sensazioni spiacevoli come rabbia, tristezza, solitudine, cioè quello che accade in presenza di un disturbo del comportamento alimentare. Ad esempio parlando di binge eating definiamo un disturbo alimentare caratterizzato dal consumo di grandi quantità di cibo in un breve periodo di tempo, con sensazione di perdita di controllo durante il pasto, con alla base dei problemi psicologici e neuropsicologici profondi, come compromissioni a livello del sistema di ricompensa, del controllo inibitorio e della regolazione emotiva. Una persona che mangia in modo incontrollato spesso si sente in colpa, disgustato e imbarazzato dopo aver mangiato.

Moltissimi studi si sono concentrati su modelli patologici, senza tener conto di modelli alimentari positivi e adattativi, utili per promuovere il benessere alimentare. Negli ultimi anni si sta invece diffondendo un nuovo approccio, chiamato Intuitive Eating che si basa sul modello proposto da Avalos e Tylka nel 2006. L’alimentazione intuitiva è caratterizzata da una forte connessione con i segnali fisiologici di fame e sazietà e induce a mangiare in risposta a questi segnali. Mangiare in modo intuitivo significa non classificare i cibi in “buoni” o “cattivi”, evitando un atteggiamento giudicante, selezionando i cibi che si apprezzano e cibandosi in quantità richieste effettivamente dal proprio corpo, sulla base dei segnali che ci invia.

In particolare, nel caso del Binge Eating, ci sarebbero alla base due emozioni negative: il senso di colpa, che porta al giudizio negativo di comportamenti specifici, e la vergogna per il proprio peso, che scaturisce dalla presenza costante e pressante all’interno della nostra società di un “ideale di magrezza” e porta dunque irrimediabilmente a giudicare negativamente il proprio fisico. Ed è qui che si inserisce l’intuitive eating, comportandosi come un moderatore positivo e agendo da fattore protettivo per coloro che sperimentano vergogna e senso di colpa.

Una pratica per tutti

In ogni caso, che sussista o meno la presenza di un DCA è sempre importante adottare un approccio di intuitive eating, per capire qualcosa in più su se stessi ed evitare approcci giudicanti che potrebbero causare danni a noi stessi e agli altri.

In particolare, ciò che la mindfulness ci può insegnare è imparare a riconoscere i propri segnali di pienezza, di sazietà, anche attraverso la scrittura di ciò che sentiamo.

Ecco alcuni esercizi che possono aiutarci a riconoscere la nostra sensazione di pienezza e adoperare un approccio più self-care, orientato al nostro benessere:

  1. Hunger scale: descrivere la nostra pienezza attraverso alcuni indici, attribuendo ad esempio un punteggio alla propria pienezza e senso di fame ad un orario specifico, descrivendone anche le qualità tra cui Piacevole, Neutra, Spiacevole, in che momento è accaduto, e che cosa si è mangiato. Ad esempio:
Orario  Punteggio Fame   Punteggio Pienezza Piacevole  Neutra  Spiacevole Cibo Attività contemporanee
10.30  7 /10 4/10 Crackers Studio
  1. Stilare un diario alimentare nel quale segnare orario, cibo, dove si è mangiato, situazioni collegate, emozioni. Questo ci aiuta a soffermarci in maniera dettagliata su quello che mangiamo e sulle nostre sensazioni mentre lo mangiamo (è molto utile anche per vedere i propri progressi in ambito di DCA);
  2. Immaginare un nastro trasportatore che trasporti dei cibi a cui si attribuiscono dei punteggi da 1 a 10 sulla base della loro pericolosità soggettiva. Mira dunque a far capire quali sono i cibi riteniamo pericolosi e quelli invece buoni;
  1. Mangiare lentamente e concentrando l’attenzione sulla gestualità, sul gusto, e sfruttando tutti e 5 i sensi, ponendo attenzione a pensieri ed emozioni. A tal proposito Kabat-Zinn, esperto di mindfulness, propone 5 step per mangiare più consapevolmente, attraverso un esempio con un chicco d’uvetta:
    1. Prendi il chicco e posizionalo di fronte a te, senza mangiarlo.
    2. Immagina di essere appena arrivato su questo pianeta e di non sapere dove sei. Non conosci la Terra ed è la prima volta che vedi un chicco di uvetta, perciò non puoi sapere se ti piace o no. Non hai pregiudizi, paure o aspettative, puoi solamente fare un respiro e rilassarti.
    3. Guarda il chicco, adesso puoi raccoglierlo.
    4. Senti il suo peso.
    5. Guardalo bene, centimetro per centimetro, cerca di capire come sia fatto, tasta la sua superficie liscia, osserva il suo colore, quando è lucido e quando è più opaco. Osservalo come fosse la prima volta che lo vedi;
    6. Annusalo: percepiscilo con tutti i sensi;
    7. Toccalo, senti la sua succosità, la sua morbidezza e rigidità;
    8. Chiediti cosa provi guardando questo oggetto così nuovo per te;
    9. Ora porta l’uvetta in bocca: cosa senti?
    10. Ok, adesso puoi morderlo. Che cosa noti?
    11. Inizia lentamente, con gusto, a masticare. Presta attenzione ad ogni singolo morso.
    12. Mastica l’uvetta fin quando non sarà tutta ridotta in poltiglia; poi ingoiala.
    13. Dopo aver inghiottito fermati un momento per esplorare le tue sensazioni: cosa hai sentito? Ti è piaciuta? Focalizza le tue riflessioni sul senso della vista, del tatto, dell’udito, dell’olfatto e del gusto.

Quest’ultimo esercizio elaborato da Kabat-Zinn fa anche al caso nostro per capire bene quali possano essere gli atteggiamenti e i comportamenti da assumere e praticare per iniziare un’alimentazione consapevole:

  1. E’ molto importante non essere giudicanti, non avere pregiudizi, esattamente come con l’uvetta. Tutti infatti, avendo incontrato almeno una volta nella nostra vita l’uvetta, avremo dei pregiudizi su quest’ultima. Beh, cerchiamo di metterli da parte.
  2. Essere pazienti è la chiave per un’alimentazione consapevole. Spesso l’uvetta viene mangiata a manciate, tutta insieme, senza dedicarsi ai singoli chicchi: proviamo quindi a dedicare il giusto tempo ad ogni morso.
  3. Assumere una mente da principianti, da bambini inesperti, può aiutare moltissimo: tutto può sembrarci una scoperta e dunque è più facile mettere i nostri pregiudizi da parte e gustarci per davvero ciò che stiamo mangiando.
  4. Avere fiducia nelle nostre sensazioni, che sono spesso diverse da quelle di chiunque altro.
  5. Staccarsi dall’idea rigida della dieta e mangiare senza impegno. Il momento del pasto non è necessariamente il momento in cui rispettiamo una dieta senza ascoltare ciò che il nostro corpo vuole davvero, e anzi può spesso essere fuorviante. Meritiamo di goderci a pieno il cibo che stiamo per gustare, senza pensieri come “sto sbagliando, forse non dovrei mangiarlo!”
  6. Accettare e lasciare andare ciò che succede mentre mangiamo. Accettare vuol dire essere consapevoli di noi stessi e delle nostre sensazioni, che siamo pronti ad abbandonare qualora non ci servano. Ad esempio, se da bambini abbiamo avuto una pessima esperienza con l’uvetta, non è detto che adesso proveremmo lo stesso: il passato potrebbe ostacolarci. E’ dunque importante lasciarsi andare alle proprie sensazioni a 360°.

Conclusioni

In questo articolo abbiamo parlato di mindful eating come approccio efficace per contrastare i DCA, ma non solo: lo abbiamo presentato anche come metodo per raggiungere una consapevolezza interna che ci può permettere di comprendere perché cominciare una dieta restrittiva non solo non funziona, ma può anche peggiorare la situazione.

Abbiamo imparato che gli approcci basati sulla consapevolezza sembrano più efficaci nell’affrontare un’ alimentazione incontrollata, alimentazione emotiva e alimentazione in risposta a segnali esterni e possono prevenire l’aumento di peso.

Per questo motivo incoraggiare un approccio alimentare consapevole potrebbe mandare un messaggio positivo da includere nei consigli generali sulla gestione del peso rivolti al pubblico, in modo da offrire altre alternative oltre il canone di magrezza che ci viene continuamente presentato.

E magari la prossima volta, al posto di contare le calorie, mangiamo ciò che il nostro corpo richiede, stando bene attenti ai segnali che ci manda!

Giada Marciano Ketty Ruscica Silvia La Face

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